C’è un aspetto sullo sciopero dei tranvieri milanesi di Atm che è passato inosservato. In molti hanno considerato l’astensione dal lavoro proprio nel clou del Salone del Mobile come uno schiaffo alla città, al suo standing internazionale, a quel barlume di forza produttiva che ancora abbiamo nel settore del legno-arredo. È sicuramente così. Ma l’epilogo è anche peggiore. Ed è l’aspetto che ci interessa approfondire. Come nella scuola del ministro sindacalista Fedeli, come nell’abolizione dei voucher, le organizzazioni sindacali stanno recuperando un ruolo che non spetta loro.

Mentre alla stazione della metropolitana (quattro le linee bloccate) si dovevano addirittura fare i turni per salire sui treni, tanta era la folla che si era accumulata, il sindaco Beppe Sala e i suoi assessori convocavano i rappresentanti dei sindacati. E non per fare il muso duro. Non per spiegare loro che le ragioni della protesta, che sempre ci possono essere, debbono essere temperate dalle esigenze della collettività. No, i nostri illustri rappresentanti votati dal popolo, e dunque da molti dei cittadini che in quel momento stavano subendo dei disagi, erano lì che chiedevano scusa. Avete capito bene, di fatto Sala e la sua giunta si stavano scusando con i sindacati. Imploravano loro di ignorare una delibera della stessa giunta che, rispettando le normative europee, avrebbe potuto mettere in difficoltà l’azienda municipalizzata. Con il capo cosparso di cenere hanno firmato un protocollo che il segretario della Filt Cgil di Milano ha subito definito «un ottimo risultato, frutto (…)

(…) della mobilitazione dei lavoratori Atm e delle organizzazioni sindacali e della disponibilità del sindaco Sala e dell’amministrazione».

La logica micidiale è che lo sciopero e il disagio nel momento più inopportuno, serve. Eccome. Il caso Atm dimostra come la politica abbia deciso di fare un passo indietro. Non è in grado di fare una scelta, senza il consenso sindacale. È una lezione che i confederali terranno a mente. L’indignazione popolare conta nulla. Un fondo di un giornale, un’immagine ai tg ancor meno. Tanto, come ha detto il segretario della Cgil locale, «noi non facciamo uno sciopero contro i cittadini, stiamo difendendo un servizio. Atm è un po’ il biglietto da visita dalla città». Il virgolettato è vero, fedele, testuale. Avete capito. Esiste la categoria ontologica «servizio». Insomma l’Atm esiste indipendentemente dal fatto che dovrebbe essere al «servizio» dei cittadini e non viceversa. In questo caso i cittadini contano talmente poco che il loro disagio, innegabile, non esiste, o meglio se esiste è al «servizio» di un bene supremo che è il «servizio». Non ci si può credere. Ma che cavolo vuol dire non scioperare contro i cittadini, ma a difesa di un servizio?
Sono tutte palle. La questione è molto semplice. I sindacati milanesi sanno che basta fare buh e la politica si spaventa. Immaginate quale altra categoria di privati, dalle partite Iva ai proprietari di casa, dai commercialisti alle estetiste, avrebbe mai potuto bloccare una città e poi essere ricevuta con tutti gli onori nel palazzo comunale. Basta molto meno di Ronald Reagan e il suo piglio con i controllori di volo, sarebbe sufficiente un po’ di rispetto per il buon senso.

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