La Confedilizia ha fatto bene a metter in fila qualche numero sulla iper tassazione della casa. L’Italia è fatta così: un giorno ci si sveglia e ci si accorge che è tutto sbagliato e si esagera dall’altra parte. Si legifera con la mannaia, cambiando completamente lo scenario. Dal liberi tutti a tutti in galera. È una metafora, ma la casa per chi ce l’ha rischia di diventarlo. Vediamo i numeretti allora. Dal 2012 al 2014 la proprietà immobiliare ha versato complessivamente 69 miliardi di imposte di natura patrimoniale (Imu e Tasi), alla faccia di chi dice che da noi la patrimoniale non c’è. Le tasse sugli immobili sono praticamente triplicate dal 2011 ad oggi. Nel solo 2014 le due patrimoniali sulla casa hanno generato un gettito di 25 miliardi. Se non avete ancora il mal di testa, ora arriva il brutto: si calcola che gli immobili abbiano perso, per il combinato disposto della crisi economica e della maggiore tassazione, un valore pari a 2mila miliardi di euro. Il che vorrebbe dire che è andata in fumo un quarto della ricchezza accumulata dagli italiani. Una roba da guerra, anche se le stime fossero superiori alla realtà del doppio.
La domanda è dunque semplice? Perché una tale catastrofe non ha portato gli italiani in strada con i forconi? Banale. Perché non lo sanno. Nulla è più opaco se non il prezzo di un immobile. O meglio esso diventa chiaro solo al momento della vendita. Nessuno dispone della quotazione del proprio appartamento giorno per giorno, così come avviene per qualsiasi altro strumento di risparmio: dalle azioni alle quote dei fondi comuni di investimento. Il valore della propria casa si ritiene sempre sia pari o superiore a quello che si è pagato. E chiunque stia leggendo questa zuppa o i numerosi articoli che abbiamo fatto sul tema tra sé e sé sta pensando: «Sì, va bene quello che dicono i giornalisti, le case oggi valgono di meno, ma non la mia, perché è eccezionale, ben fatta, ben posizionata, bene acquistata. Sono quelle degli altri che valgono di meno». Purtroppo non è così: il crollo del mercato immobiliare c’è stato e non è detto che si riprenda presto. È solo celato, nascosto, e non vogliamo vederlo.
C’è però un settore che non può sfuggire e che si deve confrontare con la realtà delle nuove tasse: è quello commerciale. Prendiamo un caso concreto individuato proprio dalla Confedilizia. Proprietario benestante di un negozio nel centro di Roma. Ha una rendita catastale di 3.300 euro e ricava un affitto annuo di 12mila. Su quell’immobile locato, il proprietario del negozio paga 4.783 euro di Irpef (la cedolare secca sui negozi non si applica), a cui sommare 359 euro tra addizionali comunali e regionali. Ma non è ovviamente finita qui. Paga 3.678 euro di Imu e 222 di Tasi. Ci sono anche le imposte di registro e di bollo per 133 euro. Il totale delle imposte pagate su un canone di 12mila euro è di 9.200 euro, pari a circa l’80 per cento dei ricavi. Con il restante 20 per cento che resta in tasca al proprietario del negozio si deve pagare l’investimento e le spese varie che comporta avere un quartierino commerciale nel centro di Roma.
Lo sciagurato cosa può fare. Venderlo, ma il mercato è ovviamente crollato. O aumentare il canone per il commerciante. Direi che possono bastare questi numeri per spiegare per quale intuibile motivo i centri delle città si stanno desertificando e per quale ragione oggi il piccolo commercio soffra come non mai.
Si tratta di una modesta riflessione per far capire come una tassa patrimoniale, scioccamente invocata per motivi di equità fiscale, produca un effetto devastante non solo sull’economia, ma anche sul decoro delle nostre stupende città.

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