Così la De Gregorio difende l’indifendibile.

Avete presente quel film di Verdone, in cui lei masticando la gomma americana, figlia dei fiori stile anni ’70, dice strascicando la voce a un favoloso Mario Brega: fascista…e lui risponde agitando un doppio pugno: «Io so’ communista cosí». Avete presente? Se ve lo foste dimenticato, leggetevi le letterine di Repubblica curate da Concita de Gregorio, e ritornate in quel clima. Brava, a essere onesti, nello scovare le debolezze di Fedez, comunista col Rolex, che firma autografi solo dietro prova di acquisto. Ieri Concita ci ha portato a Bologna. La storia la conoscete. Il rettore mette dei «tornelli» all’ingresso della biblioteca, e nel contempo ne amplia gli orari di apertura. Bibliotecari e utilizzatori della biblioteca ne sono ben contenti. Quel posto era diventato un casino, tra punkabbestia e droghette nei bagni. I collettivi e qualche studente (secondo la polizia, sono una minoranza) si ribellano e occupano tutto. Fanno quello che fanno sempre i collettivi di sinistra, occupano ciò che non è loro. E se infastiditi, si buttano a terra piagnucolando e fingendo il fallo da rigore. Il rettore, per una volta, invece di mollare la presa, chiama la polizia, che fa il suo mestiere e sgombera. Qualche fermo, alcuni identificati. E così arriviamo alla madre di Maria, studentessa di Cremona di anni 19, matricola di filosofia. A Concita, dice di essere orgogliosa di una figlia «delinquente» e si dice «felice che combatta contro un sistema che vuole i ragazzi passivi consumatori di un’università azienda e biblioteche banche».

Intanto verrebbe da chiedersi se abbia scoperto una macchina del tempo che l’ha teletrasportata da una comune degli anni ’70 a oggi. Concita si fa comunque convincere. In fondo combattere contro un sistema è sempre chic. Ma qui non c’è Stalin, non c’è Castro (ah no, forse quello le piaceva), c’è un rettore che tutela il diritto allo studio. Non tutti hanno una madre come Maria, che fa il medico, il neuropsichiatra; ci sono anche studenti che non hanno mammà che paga i conti e per i quali studiare non è un hobby. Per loro il «sistema» è quello dei collettivi che parlano di biblioteche-banche, mentre loro in banca sperano di lavorarci. Per loro il «sistema» è quello dell’università-parcheggio in cui le tante Marie possono restare a vita, mentre loro hanno bisogno di entrare in azienda, quella tanto odiata dalla mamma di Maria, il prima possibile. Per loro le mamme sono come quella mamma di Baltimora che divenne celebre perché, ripresa dalle telecamere, diede uno schiaffone al figlio Michael che lanciava pietre alla polizia. «Vai a studiare, invece di fare il teppista».
Da noi la mamma è sempre la mamma. E invece di spiegare a sua figlia che i luoghi pubblici non si occupano e che regolamentare l’accesso a una biblioteca pubblica non è un assalto al diritto allo studio, vuole spiegare a noi che la figlia sta combattendo un sistema liberticida. Ma de che? A communista. Con due emme come quelle del romanaccio Mario Brega, ma senza la sua simpatia. Garantito che questa mamma e sua figlia ce le troveremo a manifestare contro il prossimo governo, di qualsiasi colore esso sarà, per la disoccupazione giovanile al 40 per cento.

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