Domenica 5 marzo 2017 – Sant’Adriano (compleanno di Marco, mio nipote) – a casa, in Calabria

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E quando mai, questo schifo in Italia?

Ho cinquantacinque anni e questo orrore non me lo ricordo in nessun angolo del mio adorato Paese. Ho visto e visitato quartieri poveri di grandi città, paesini poveri, piccole frazioni povere, case povere. Anche i miei Nonni non navigavano nell’oro. Ma erano Signori, vestiti di Dignità regale. Anzi, Divina.

Il degrado, arrivato coi canotti, è sotto gli occhi di tutti. Dal Friuli al Piemonte, dalla Lombardia alla Sicilia. Gigantesche baraccopoli costruite con la merda delle città: vecchie lamiere, cartoni, teli di plastica arrangiati qui e là, cartelloni stradali,  paletti di legno marcio, ferro arrugginito, plastica. Bombole di gas allacciate a tubi putridi e cucinotti da campo usati in maniera bestiale. Fuochi accesi con radici di alberi ancora vivi. Il puzzo vomitevole di tonnellate di spazzatura abbandonata fin davanti “la porta” della baracca. Nessun cesso. Latrine ricavate alla bell’e meglio un po’ ovunque.

Droga, prostituzione, malaffare, stupri e incesti. Maltrattamenti alle donne, ai bambini, ai deboli, ai Cristiani. 

Sgomberata baraccopoli di rom romeni

Caporalato feroce e sanguinario. Bianco e nero. Schiavismo turpe. Bianco e nero. Terrorismo e malavita. Bianchi e neri.

E, dunque, che cazzo li facciamo entrare a fare? Non cambiamo loro la vita: li degradiamo anche di più di quanto non lo siano già nella loro terra. E, peraltro, per arrivare a questo schifo, devono pure subire anni di vessazioni, violenze, stupri e sfruttamento nei campi di concentramento dei mafiosi libici. Poi, sbarcati in Italia (con o senza le connivenze di quei malandrini travestiti da angeli), li lasciamo in mano agli sfruttatori, che li fanno vivere peggio dei negri nelle piantagioni di cotone.

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Sfido qualunque papa, qualunque re,  a venire a dire che non sia così, a negare l’evidenza! Sono pronto ad accompagnarli – magari a calci – in qualche bidonville della Piana di Gioia Tauro che conosco e che, in compagnia di buoni e generosi amici, ho pure cercato di bonificare, materialmente e moralmente. Toccheranno con mano il letame. E poi sarò curioso di sentire le dichiarazioni preconfezionate sulla necessità di accogliere, di ospitare, di “integrare” (o lasciarsi integrare).

L’accoglienza E’ FALLITA! Ha creato solo odio (nostro e loro), razzismo (più loro che nostro), paura (più nostra che loro), arroganza (tutta loro), rivalsa (nostra), senza risolvere nemmeno un problema.

L’unica risposta è quella che, secondo me,  si dovrebbe attuare in tempi brevissimi: riaccompagnarli a casa. Mantenendo un numero controllato di stranieri VERAMENTE in pericolo e qualcuno che si regolarizzi con un lavoro onesto e giustamente retribuito.

O interveniamo drasticamente sul numero di irregolari, anonimi, sconosciuti, oppure non mancherà molto tempo che la gente, esausta ed esasperata, si rivolterà. E sarà, sì, tragedia!

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I roghi nelle bidonville sono segnali precisi di un odio che monta. Fra loro. Fra noi. Fra loro e noi. Sono muri, quelli che si materializzano fra le fiamme; nei pregiudizi che cominciano a prendere il posto dei troppo repentini abbracci pseudofraterni; fra le famiglie che sono costrette a convivere nei condomini e che hanno capito che integrazione forzata dell’Italia alle loro pretese religiose, sociali, culturali e satana sa quanto altro, NON E’ POSSIBILE.

La misura è quasi colma: o i governi intervengono, oppure l’Occidente della Gente mostrerà prestissimo il braccio forte. 

Questa sensazione aleggia nell’aria. Dal ghiaccio della Scandinavia, al mare caldo della Grecia e della Sicilia, fino all’aspro orizzonte della Calabria, della Sardegna, della Puglia… Non è piacevole. Ma alla rabbia che lievita ci stiamo facendo l’abitudine. Meglio sarebbe trovare al più presto il coraggio della soluzione più attesa e più giusta. L’orso polare morirebbe nella savana e l’elefante morirebbe fra i ghiacciai. Così noi umani: c’è una terra per ogni popolo, un popolo per ogni terra. Il resto è invasione o deportazione.

Fra me e me. 

 

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