Applausometro al Dal Verme, dall’Ongaro si piazza bene
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Domanda: ma è poi così vero che la gente quando va ai concerti misti (cioè classica e moderna insieme) non apprezza i brani scritti dagli autori di oggi? Beh, mercoledì mattina ho avuto l’ennesima riprova, al teatro Dal Verme di Milano, dove in programma è ancora per una volta – sabato 4 aprile alle 17 – la successione Faurè (con la sua “Pavane”) Herz–dall’Ongaro–Mozart eseguita dell’orchestra dei Pomeriggi musicali diretta dalla bacchetta del pianista Howard Shelley: la riposta al quesito è sì. Alla fine dell’esecuzione di ogni singolo brano, durante prove generali affollate perlopiù da persone di una certa età (manco a dirlo), ho ascoltato con attenzione gli applausi – per carità un “applausemetro” del tutto empirico e personale – concludendo quanto segue.
Mozart forse e come quasi sempre batte tutti: grande entusiasmo per l’energia della “Parigi”, una bellezza, un’apertura che non trova facilmente paragoni; Mozart è Mozart e non si discute. Applaudito parecchio dall’Ongaro col suo melologo “Babelè per voce recitante e orchestra” su testo di Pier Luigi Berdondini. Gli applausi ci sono sempre, si sa – piaciuti tantissimo anche gli altri due brani – ; ma ci sono applausi e applausi e anche in questi casi erano convinti. Ho apprezzato molto la partitura di dall’Ongaro, che non era di quelle cose “contemporanee” che farebbero uscire certi spettatori al passo del leopardo, che un certo grado di sfida portava nella sua assoluta mancanza di banalità. Conclusione.
Dopo il concerto mi sono ritrovato a parlare della faccenda davanti al teatro e i miei interlocutori – esperti e molto addentro – mi hanno tutti confermato che oggi è il pubblico a fare domande tipo: “Che barba, perchè non ci fate sentire quello che si scrive adesso?”. E invece, mi raccontavano, certe volte nelle programmazioni dei vari enti si riescono a trovare nella stessa annata due esecuzioni della stessa opera (non so, la Quinta di Beethoven) e di moderno niente, o quasi niente. Chiaro, la paura di chi attende “ritorni” è sempre quella: non riempire mai abbastanza la sala oppure non riuscire ad accontentare la platea, che forse a torto viene considerata abituata a certi repertori punto e basta e non troppo disponibile alle novità.
Me ne sono andato a casa in auto ripensando un po’ a questi discorsi. E per viaggiare ho messo su Quarto tempo del compositore milanese Roberto Cacciapaglia – (ricordo che uno dei suoi primi dischi, se non sbaglio Sonanze – mi ha avvicinato alla contemporanea – era la metà degli anni Settanta e io ero un ragazzo). Per un attimo mi sono ritornati in mente una spiaggia inglese, le scogliere, il mare…
In allegato: “Pavane” di Faurè eseguito da Ian Anderson (Jethro Tull)