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In epoca moderna ha affascinato parecchio la figura della virtuosa della musica Clara Wieck, più conosciuta come Clara Schumann, la moglie del grande compositore tedesco Robert. Ha affascinato e se ne parlato assai anche ultimamente, in periodi di celebrazioni e festival; l’anno scorso erano per esempio i 200 anni dalla nascita della pianista e compositrice, e questo ha fatto scattare incontri, dibattiti, concerti biografici e tematici. Ebbene la “fascinazione” ha raggiunto anche il mondo del teatro, più precisamente un prestigioso palcoscenico lombardo. Del resto non poteva che essere che così, visto che la Signora della tastiera “è stata la più grande pianista dell’Ottocento”, come recita la presentazione della pièce “La pianista perfetta” (dal 29 gennaio al 2 febbraio), uno spettacolo-concerto dal vivo con Guenda Goria proposto al teatro Litta, nel centro di Milano. Dentro all’evento, con le parole della stessa Clara.

“La mia immaginazione non può figurarsi una felicità più bella di continuare a vivere per l’arte”, così la pianista descrive la sua vocazione più profonda, quella per la musica. Forgiata nella tecnica dal padre Friedrich Wieck, lei diventa sin da giovanissima concertista di fama mondiale; la più grande della sua epoca, ma anche una donna coraggiosa, intellettuale, madre affettuosa di otto figli, innamorata. Ed è proprio l’amore che permea la scena nella sua musica, l’amore per la vita e l’amore per un uomo, Robert Schumann, compositore e figura di spicco del romanticismo tedesco.

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Un amore tormentato ma profondissimo, quello tra Clara e Robert, – viene spiegato nella presentazione del Litta – che trova il suo triste epilogo quando una malattia sopraggiunge a consumare le capacità intellettive di lui, fino a portarlo lentamente a spegnersi. E saranno le cinque linee del pentagramma il rifugio di Clara, le note saneranno le ferite del suo cuore e quell’armonica successione di tasti bianchi e neri darà conforto a questa grande donna che donerà alla musica tutta se stessa, continuando a lavorare dopo la morte del marito per diffondere la sua musica – troppo avanti per il gusto dell’epoca, ma che troverà postuma fortuna.

Una proposta teatrale che ha diverse valenze a parte quella principale dello spettacolo stesso; non ultima la valenza di fare della “cultura musicale” anche fuori dalle sale dei concerti. Quel sapere che, a parte nelle grandi città per via a volte di perfino sovrabbondanza di offerta, tende a scarseggiare, a partire proprio dalla scuola dell’obbligo, settore in cui l’Italia – almeno per quanto riguarda la musica – è ancora un fanalino di coda nonostante gli sforzi, nonostante uomini e donne di buona volontà si battano per far cambiare le cose.

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