Autori / Nell’arcobaleno di Portera è il turno del “Trio orange”
[youtube o0hEfB9sQ2w nolink]
Andrea Portera, 36 anni, è uno di quei giovani che si sta distinguendo con i suoi lavori nel panorama della produzione odienza. L’ultima volta l’abbiamo lasciato al festival di Stresa, dove si era aggiudicato l’omonio concorso del 2009: la composizione allora presentata – parte di una sua ricerca di “tipo antropologico”, si intitola “Tre forme: linea-cerchio-ettagono”. Ora eccolo ritornare sulla scena con “Trio Orange“. L’appuntamento è per venerdì 12 febbraio, al Museo Marino Marini di Firenze (ore 21, piazza San Pancrazio (info: http://www.scuolamusica.fiesole.fi.it/); sul palco Luciano Tristaino al flauto, Edoardo Rosadini alla viola e Antonio Siringo al pianoforte). A spiegare di che cosa si tratta e lo stesso Portera, attraverso una nota:
“Il brano fa parte di un ciclo di 7 trii basati sui colori dell’arcobaleno (questo è il terzo dopo trio rosso e trio violetto). L’arancione è qui inteso come il colore della spiritualità che permette il distacco dai beni futili e materiali e favorisce il raggiungimento della massima concentrazione interiore. E’ un colore molto presente nelle culture orientali ed è ritenuto il colore delle rivoluzioni pacifiche (su tutte la rivoluzione Arancione in Ucraina nel novembre 2004). Il brano unico, suddiviso in 3 sezioni, inizia con dei timbri basati sulla sequenza naturale degli armonici, creando atmosfere meditative, favorite anche dall’utilizzo di due campane tibetane inserite nella cordiera del pianoforte”. E ancora:
“La prima parte del brano è quindi l’ascesa verso la propria spiritualità. La parte centrale è retta essenzialmente dal piano, che in modo aggressivo propone un materiale plastico, fatto di regole fisse e conservatrici (rappresentate da un’ esposizione di fuga con soggetto seriale) simbolo di dittatura oppressiva, di ideologie imposte attraverso la violenza di un regime. Qui il flautista usa un flauto a coulisse, che crea fluidi fraseggi senza note fisse, simboleggiando l’instabilità sociale e la debolezza ideologica a cui è sottoposto un popolo oppresso. Su questo scenario emerge progressivamente la voce della viola, come un canto di speranza e di reazione, riuscendo, dopo aver subito ripetute violenze sonore da parte del piano, a divenire la voce guida, il suono della rinascita; in questo episodio il flauto a colulisse è sostituito da un flauto etnico di legno, ossia il risveglio delle nostre radici antropologiche, in grado di stimolare la coscienza dei popoli. La parte finale riaffiora con un’atmosfera di misticismo, ma contaminata (necessariamente) dal dolore e dalla forza della condizione umana”.
In allegato: intervista ad Andrea Portera