Ritratti / Vijay Iyer, quando la via è “indiana”
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A proposito di certe affermazioni. Certe appaiono già defunte sul nascere. Tipo: il jazz, con le sue sperimentazioni, è morto dopo gli anni Sessanta… Se c’era bisogno dell’ennesima conferma del contrario eccola con uno degli appuntamenti previsti dal J.C-jazz convetion (http://www.movimentazioni.org/), rassegna in programma a Pescara a partire dall’8 ottobre. Il calendario esibisce infatti uno dei pianisti più interessanti degli ultimi tempi. Generazione Quaranta, origini indiane, alla tastiera autodidatta. “Si è fatto” da solo, è un autodidatta eppure…
Gli appassionati avranno già capito che il jazzista in questione di origini indiane è Vijay Iyer (interessante l’accostamento che fa la kermesse del suo nome con quelli di Cristina Zavalloni e Dodo Morini, per dire “tre modi diversi di vedere il genere”. Una vita passata a New York, cultura cosmopolita, studi in fisica e matematica). Un’interessante intervista è apparsa sul numero di aprile di quest’anno del mensile “Musica Jazz” diretto da Filippo Bianchi. Un ritratto tutto da leggere per scoprire una delle promesse maggiori del nostro tempo. Nell’articolo a firma di Enzo Boddi il pianista a più riprese espone il suo metodo di approccio a un jazz che è davvero personale, lui che collabora con Rubresh Mahanthappa. “Entrambi – dice nell’intervista il musicista – siamo nati da famiglie dell’India meridionale. All’inizio Rudresh era maggiormente influenzato dalla musica indostana (…)”. E ancora: “Io ero prevalentemente concentrato sulla karnatica e sulle concezioni ritmiche. Recentemente ho lavorato con musicisti indostani…”.
Per Iyer è assai importante il ritmo. Spesso fa uso di metri dispari, influenzato dalla sua cultura di origine e forse anche libero di “navigare” in mare aperto, poiché non oppresso dall’eccessiva rigidità di certe scuole. “Non penso tanto in termini metrica dispari – fa sapere sempre nell’intervista – quanto di specificità e più precisamente tradizione ritmica. Ora può trattarsi della tradizione appena citata, ora di quella africana; in altre circostanze potrebbe essere qualcosa di leggermente più artificiale, ma basato su elementi e concetti derivanti da entrambe”.
In allegato: musiche di Vijai Iyer con Rudresh Mahanthappa