Racconto 6 / Il mistero di San Crispino
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Il racconto (si sa) ha avuto un calo di popolarità – e non parliamo di quello musicale che praticamente è sempre stato un fanalino di coda -. La musica, i suoi strumenti, i suoi protagonisti hanno ispirato poco quanti per necessità o professione o semplicamente per passare il tempo si sono cimentati e si cimentano con le parole. Eppure i soggetti non mancano. Dal pianoforte al flauto traverso, dalle arie barocche ai tempi irregolari di una sonata del Novecento, fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’elettronica, la computer music e la rivisitazione in chiave moderna delle antiche polifonie. Un mondo coi suoi “abitanti” col quale si possono inventare delle storie. “Fuori Tono” continua – muovendosi non solo nell’era moderna di cui per sua scelta si occupa – a proporre periodicamente un racconto musicale, accompagnato da una colonna sonora e da un video che possono rappresentare il soggetto. Dopo “Una Rimini da sogno” (29/03/2011), ”Uno Stabat Mater che consola” (29/04/2011) e “Le paure di Rumolandia” (30/05/2011), “Suono I, Suono II, Suono III“ (30/12/2012), “Non entrate in quell’auditorium…” (28/01/2013) e “Il mistero di San Crispino”.
La colpa per la fine della San Crispino non venne mai attribuita veramente. E’ certo che l’ensemble con il nome di un paese che si chiamava come una nave da crociera, venne aiutata, a suicidarsi. In una serata erano stati fatti più danni di quanti ne avrebbe inferto un plotone di critici incarogniti. Dopo lo scioglimento dei maestri, nella cittadella era tornata la pace, a dire il vero. Qualche battuta aleggiava sempre nell’aria, nei soliti posti. Dal barbiere, dal panettiere e al bar, l’unico luogo dove le maldicenze erano tante quante le note di una fuga eseguita a un clavicembalo.
Al principio, di veramente fastidioso era rimpasto l’atteggiamento degli abitanti nei confronti dei musicisti. Che al loro passaggio in piazza qualche volta venivano guardati di sottecchi, qualche volta sbertucciati, oppure fischiati apertamente.
Per San Crispino in effetti quel primo giugno del ’96 si era trasformato in un inferno. Tanto che aveva dovuto intervenire il sindaco: per salvare – come si diceva da quelle parti – capra e cavoli (la verdura in luogo dei professori d’orchestra) dopo aver censurato quanto doveva essere censurato, si era lanciato nelle lodi del corpo bandistico, ben sapendo comunque che per esso quel dì sarebbe stato l’ultimo. Una carriera durata cinquant’anni, stroncata da una bufera di chiacchiere.
I giornali di questo centro e dintorni incastonato fra le colline, sotto un tetto di nuvole che si fa ricordare a pochi chilometri dai profumi del mare, non si erano risparmiati, ovviamente: come s’usa dappertutto per vendere qualche copia in più avevano soffiato sul fuoco delle polemiche, facendo crescere l’indignazione. La gente, accanita – soprattutto quella che aveva assistito al recital – non perdeva l’occasione di dire qualcosa per ritrovarsi il giorno dopo sulla pagine dei quotidiani con la frasettina e il fotino: “Quel che mi hanno detto dell’orchestra… insomma, una delusione. Non pensavo proprio…”. Un altro temeva per la reputazione della comunità “Che cosa diranno nei Paesi vicini, e il nostro onorevole in parlamento che si era dato tanto da fare per noi…”; c’era poi chi catastrofico non vedeva più orizzonti: “Non alzeremo mai più la testa…”.
Lo scandalo musicale di San Crispino, anche se già placatosi in loco, per via della stampa aveva cominciato a girare per i centri abitati vicini, fino a “conquistare” l’interesse della regione. E anche oltre. Arrivavano le telefonate degli amici e dei parenti che abitavano lontano. Un flusso ininterrotto di chiamate, che neanche a Natale e Capodanno l’azienda delle comunicazioni aveva registrato. Un giorno mentre dei tecnici stavano riparando un guasto della linea, inavvertitamente si trovarono nella condizione di ascoltare una conversazione: “Hai saputo dell’orchestra..”; dall’altra parte: “Pazzesco, ma tu c’eri?; “no, ma qui tutti lo sanno, una cosa senza precedenti, ho sentito che vogliono mandare un’ispezione…”.
L’ipotesi di un blitz di una commissione di esperti era girata da subito, dalla mattina dopo. Ma sulle prime era sembrata una trovata per arrivare a chiedere la testa del direttore d’orchestra. Che da lì a poco, comunque, si sarebbe dimesso facendo tirare un respiro di sollievo a molti. Poi invece la commissione arrivò. Un fine settimana, accolta da una folla assetata di verità e giustizia. Immediata la processione delle testimonianze davanti al Municipio dove si erano sistemati gli “inquirenti”. Che ben presto si resero conto che, nonostante il peso dell’offesa, nessuno aveva voglia di apporre la propria firma sotto un rapporto scritto. Forse per paura di non aver capito bene, forse per la paura di non meglio precisate conseguenze, forse perché magari qualcuno in casa non era d’accordo. Insomma gli esperti ripartirono da San Crispino con in “tasca” molte voci e per il resto un pugno di mosche in mano. I forestieri partirono sorpresi e amareggiati: “Ma come ci hanno chiamato qui loro, i paesani, e poi guarda che risultato”, era la lamentazione più ricorrente degli esperti. Nessuno aveva voluto parlare chiaro e tondo.
L’orchestra per carità, ormai era cosa morta, ma nelle famiglie – e San Crispino era anche questo – i panni sporchi si lavano in casa, anche se poi di quella faccenda tutti sapevano e tutti discutevano in continuazione. E loro, i protagonisti amati e a un certo punto odiati dai loro fratelli, dopo lo show e il caso che fine avevano fatto veramente? Dopo le fugaci apparizioni dei primi tempi poi non si erano più visti per le strade. Complice l’arrivo dell’estate, con le partenze per le vacanze, con la lentezza che porta il caldo del sole a picco, le attività che chiudono.
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In Paese sotto il Solleone gli argomenti diradavano, così come diradava l’interesse per le cose. Certo l’orchestra era ed è stata l’orchestra, con la sua tradizione, una scuola; quanti buoni musicisti nel mondo avevano cominciato lì… Nell’unico locale aperto in quelle settimane roventi, seduto ai tavoli fuori c’era chi ricordava ancora quei suoni di violino del più grande di tutti… Una meraviglia che l’alta temperatura sbiadiva nelle ondate di calura che facevano tremare il chiaro paesaggio. La canicola può accendere i ricordi, qualche volta le nostalgie e sotto il pergolato c’era chi ricordava quando il maestro d’orchestra, giovane e ancora in prova, diede una grande prestazione di sé, tanto che la sua bacchetta in sala fece piangere un po’ tutti. E che dire di quella volta in cui il grande coro orchestrale stupì persino l’onorevole in visita con l’Inno di San Crispino; quel “ta-ta-ta” che venire il nodo alla gola. Ma la festa del Primo Maggio con tutti i lavorati a casa e con il tradizionale concerto sul palco; l’emozione di centinaia di persone, le canzoni delle campagna e infine, per la gioia di tutti, quell’Inno, che quasi quasi non si può pronunciare più e che tante volte ha fatto commuovere gli operai col pugno chiuso.
Eh sì, se c’è una cosa sulla quale tutti s’accordano è la bella musica e l’ammirazione per chi la fa. Per esempio la flautista, che bella ragazza. Nata e cresciuta nel paese, già da piccolina – ricordavano i vecchi – si vedeva che la predisposizione ce l’eveva. Dopo gli studi ce l’aveva fatta, sempre con i suoi amici, quasi tutti entrati del corpo orchestrale. E ora, quella giovane, non si sapeva dove era finita. Come scomparsa; il fattaccio forse l’aveva traumatizzata o forse l’aveva no traumatizzate le polemiche, o le figuracce fatte in famiglia. Insomma, svanita. Passati i giorni nulla si sapeva più anche del timpanista; un signore di una certa età, una vita a San Crispino, mai un comportamento fuori posto, non fumava. Avrà deciso di cambiare zona, città, magari per tagliare i ponti con il passato ha varcato il confine.
L’altro giorno i paesani parlavano della viola d’amore che veniva suonata da un ragazzo. Che non era ben visto per via dello strumento; o meglio di quella parola “amore” che accompagnava la parola “viola”. Un maschio alle prese con un oggetto simile; chissà cosa voleva dire: normale normale per i più anziani del rione dove risiedeva, non doveva essere. A ogni modo puff, anche di lui niente più tracce.
Di questo passo chissà dove si sarebbe arrivati, all’abbandono di tutto, la fuga dei cervelli, all’impoverimento della classe media di quella località. A parte l’improvvisa assenza dei maestri, con il tempo – in realtà qualche mese e basta – anche il teatro aveva cessato di funzionare. All’inizio sembrava la solita storia dell’esubero di personale; certo gli affari non andavano bene complici gli ultimi avvenimenti e i tagli si erano resi necessari. Oltre alle maschere – le prime a cadere – dapprima venne lasciata a casa la metà degli impiegati; i macchinisti riuscirono a scamparla perché se in un ente teatrale non ci sono i tecnici che si occupano dello spettacolo, se bisogna ripartire non si parte. Poi furono lasciati a casa alcuni di loro, poiché sia le produzioni musicali sia quelle teatrali erano scese sotto la metà. Col passare delle programmazioni, che erano sempre più magre, non si contavano più i caduti: persino gli uscieri erano stato selezionati perché il direttore – anche lui poco dopo messo alla porta perche tanto bastava quello “generale” – aveva trovato il modo di ottimizzare il personale di servizio.
Ma la cosa che a un certo punto aveva fatto pensare a una sorta di epidemia – scatenata dall’ormai distrutta formazione musicale – è che a San Crispino avevano iniziato a tirare giù le serrande i locali: dapprima quelli “attaccati” al teatro, dopo quelli in prossimità. A rigor di logica, una conseguenza normale. Un teatro funziona meno, il pubblico diminuisce, ne risentono i bar, i ristoranti e i negozi di tutta una zona. Questo aveva creato un effetto a catena, nelle case dove i soldi mancando il lavoro entravano meno, nelle famiglie che litigavano per la sopraggiunta crisi: la partenza dei giovani, la disperazione dei vecchi, l’impotenza delle donne davanti all’incapacità di reagire dei loro uomini davanti a una crisi che aveva colpito e colpiva morte tutto il centro abitato.
Erano passati soli sette mesi dalla serata cruciale dell’orchestra e quei primi giorni di giugno sembrano così lontani dal gennaio più triste che i paesani superstiti ricordavano. In questa località musicale, tra le più ricche e ridenti di tutta la regione, ormai non ci passava neanche un cane. E quando ci passava era solo per lasciare un “bisognino“ in ricordo, ma a quasi in spregio del disonore che in quei luoghi si era consumato.
Giorno dopo giorno di San Crispino un po’ ovunque non si parlò più, tanto che oggi a distanza di un tempo che nessuno riesce più a quantificare, non si sa neanche se esiste ancora o se sia esistito veramente. Forse un miraggio. Di certo c’è che guardando le carte geografiche di quelle vallate, il centro urbano non è segnato e passando tra le valli in cui secondo molte voci e una leggenda dovrebbe esistere, si trova solo una strada di polvere. Come se in quel luogo non fosse mai esistito nulla.
In allegato: musiche di Nino Rota