Racconto 10 / Il sogno di Pitagora
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Il racconto (si sa) ha avuto un calo di popolarità – e non parliamo di quello musicale che praticamente è sempre stato un fanalino di coda -. La musica, i suoi strumenti, i suoi protagonisti hanno ispirato poco quanti per necessità o professione o semplicamente per passare il tempo si sono cimentati e si cimentano con le parole. Eppure i soggetti non mancano. Dal pianoforte al flauto traverso, dalle arie barocche ai tempi irregolari di una sonata del Novecento, fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’elettronica, la computer music e la rivisitazione in chiave moderna delle antiche polifonie. Un mondo coi suoi “abitanti” col quale si possono inventare delle storie. “Fuori Tono” continua – muovendosi non solo nell’era moderna di cui per sua scelta si occupa – a proporre periodicamente un racconto musicale, accompagnato da una colonna sonora e da un video che possono rappresentare il soggetto. Dopo “Una Rimini da sogno” (29/03/2011), ”Uno Stabat Mater che consola” (29/04/2011) e “Le paure di Rumolandia” (30/05/2011), “Suono I, Suono II, Suono III“ (30/12/2012), “Non entrate in quell’auditorium…” (28/01/2013) e “Il mistero di San Crispino” (27/02/2013), “Le sorelle Lucerna” (29/04/2013) e “Belfagor alla Scala” (30/5/2013), “Gil e le parole del silenzio”, “Gil e le parole del silenzio” (29/06/2013) e “Il sogno di Pitagora”.
“Silenzio! Chi sei e come osi comparire al mio cospetto senza esserti fatto nemmeno annunciare…”. Dallo spazio profondo non arrivava nessun segnale, solo questa lamentela, e visti quegli abissi immaginare qualcosa che li popolasse era impossibile. Freddo, assenza, stasi. L’essere adirato non affidò i pensieri alla parola. Lo scambio con lo straniero di nome Apollo, presentatosi alle porte del nulla, avvenne per via di mezzi agli umani non accessibili.
“Sono venuto per chiederti aiuto. Forse a cambiare il corso di questo universo che il Padre fin dal principio ha voluto fermo”. Il padrone di casa, Thanatos, per una sua intrinseca diffidenza avvertì una minaccia ai suoi confini. Dunque reagì in maniera dura e fiera.
Thanatos: “Il mio intuito non mi fa apprendere il tuo nome, non altro, dimmi o vattene!!!!”.
Apollo (sottomesso): “La mia missione è…”.
Ma quel visitatore arretrò e non ebbe neanche il tempo di cominciare, perché qualcosa dall’alto con chiari segni premonitori stava per arrivare. Le celesti figure avevano destato la curiosità del padre Zeus che disturbato nelle sue riflessioni su come adornare il creato con sui si baloccava, volle scrutare la scena. Per primo apparve il postulante.
Giovane con la testa ricciolina, tunica bianca e corpo scolpito; in mano, una cetra. Chi all’inizio aveva accolto con ostilità lo straniero era un vecchio con sguardo feroce e barba incolta “Silenzio!!!”, esclamò il sopraggiunto re dei re per quietare i borbottii. Subito partì un interrogatorio. Zeus domandò al divino ragazzo che cosa fosse andato a fare nell’altrui dimora. Ma il mitico dei mitici non ancora ricevuta risposta invitò l’anziano sovraumano a essere più gentile con il prossimo… Poi il dialogo prese forma come un pianeta tra gli astri.
Apollo: “Io sono qui perché protettore della musica che voglio far diventare armoniosa e meno pedante che già ci fu all’alba del mondo, con quell’epoca che nel futuro gli uomini chiameranno Neandertahl…”.
Zeus: “Mi par di capire che tu Apollo vuoi andar oltre al tuo incarico celeste. Forse ambisci a occuparti del progresso?” (il grande vecchio capì al volo…).
Thanatos: “Il mio pianeta di buio ha a che fare con la morte e il silenzio. Dunque Padre, questi affari non sono miei” (il re dell’universo ebbe un sussulto anche per l’antipatia che aveva per lo scorbutico e senile figlio).
Il dio della musica, sollecitato, continuò a spiegare che ad averlo spinto fino alle soglie di quella tana cosmica erano stati i sogni di un piccolo e fragile essere, così ignorante ma così appassionato, che gli sembrava giusto dargli un premio. “Silenzio!!!”, ripeté fedele alla tradizione il signore dei signori.
Thanatos, che dinnanzi al sommo sovrano aveva preso il fare modesto di un omino che sulla Terra avrebbero chiamato Fantoz fece spallucce: “E io che posso fare per te, illustrissimo Apollo?”, sibilò malvagio.
Zeus: “Muoversi, giungiamo al punto…”, intimò spazientito ai commedianti per l’idea che aveva di tornare a giochicchiare con le galassie.
Apollo: “La mia richiesta è semplice, dare a quell’umano che si fa chiamare Pitagora e che tanto si affaccenda intorno alla mia materia, l’idea della Pausa. Un aspetto che, visti i limiti da me sopportati per volere del Padre stesso, io non posso trattare. Nel mio comporre le note scorrono una dietro l’altra, ma senza quel silenzio che tanto vorrei elargire… Dunque è il dio incaricato di certi compiti a dover mettere quel qualcosa in più che potrebbe rendere più ricco il mondo dei suoni.
Zeus: “Note e musica, musica e note, silenzi e note, trallalà trallalà…”. L’imperatore delle divinità, improvvisamente, si mostrò assai divertito dalla faccenda tanto da spingere il guardiano dell’aldilà a dare quel che Apollo chiedeva. Ovvero la possibilità di far concepire al suo filosofo protetto il silenzio in forma musicale. E così fu. Lo scambio di sapienza tra gli dei avvenne in maniera inconcepibile. Poi l’aureo congedo.
Apollo prese un ascensore dimensionale alla Star Trek. Nel volgere di qualche microistante intraprese il viaggio. La destinazione sarebbero stati i sogni di Pitagora, in quel mentre tra le braccia di Morfeo. Quale occasione migliore per insuflare nell’umano il germe della conoscenza… Durante il siderale trasloco qualcosa andò storto. Fra tuoni e fulmini, una forza scaraventò il povero Dio in un’epoca diversa. Con il busto e le mani tremebonde e piene di logos, Apollo si infilò come una supposta nel giochi onirici di un uomo qualunque del Novecento. Un impiegato al quale il giorno dopo toccò la singolare sorte dell’inventore al posto del genio greco che, nel non veder arrivare nessuno, si diede alla matematica. Dall’altra parte del tempo lui, il ragionier Rossi. Che preso da una strana smania di inventar qualcosa in un giorno feriale d’ufficio si trovò quasi senza saperlo alla macchinetta del ristoro. E lì con lo stupore dell’oracolo di Delfi e degli dei inventò sì l’agognata Pausa, ma per il caffè.
In allegato: musiche della Grecia