Compositori / Verga, quando la poetica elettronica è… concreta
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Non adatta ai concerti in pubblico, all’ascolto tradizionale – meglio l’ascolto intimo magari in una camera al buio – a essere eseguita senza una lunga e complessa preparazione. In un primo momento quasi aria di paradosso. Eppure, una frontiera da scoprire, la cui origine affonda le radici nella musica dello studio di Fonologia anni Cinquanta di Milano. Parole d’ordine: musica concreta.
Benvenuti nel mondo elettronico di Giampaolo Verga, 47 anni, un musicista atipico del panorama italiano: da segnalare la sua incisione “Fadensonnen”. Legami culturali con Luciano Berio & Co. nel periodo d’oro di Corso Sempione, per certi versi un personaggio che catturare in un solo colpo non pare possibile (tra frizzi e lazzi stupisce anche la sua ancora cocente passione per il calcio che da ragazzino lo stava portando sulla strada del professionismo come il violinista Salvatore Accardo, poi la forza trascinante della musica e gli studi accademici…). Violinista e compositore, “gli strumenti di lavoro che utilizzo – attacca – sono il violino, la voce e l’elettronica, ma quest’ultima come un ausilio”. Dice un sonoro “no” all’approccio scientifico (della serie spaccare il capello in quattro del mondo dei suoni), dice si all’approccio, appunto, “concreto”. “Il mio lavoro è un lavoro principalmente sui dettagli del suono, all’interno delle sue pieghe; per quanto riguarda la voce lavoro sugli aspetti residuali”. Zone poco esplorabili, forse nemmeno riproducibili. Un lavoro di scavo estremo che porta alla creazione non di musica o di un sound in senso tradizionale, ma di “oggetti sonori” “che si affrontano per quelli che sono e basta”, aggiunge il compositore. E qui, per capire meglio, bisogna tener presente termini come “amplificazione”, “riverbero” ed “equalizzazione”: passaggi-strumento di cui Verga si serve per giungere ai suoi risultati. Che sono esiti, sostanzialmente, di ricerca pura, che non tiene necessariamente conto del potenziale ascoltatore o pubblico. Il che, in un mondo dove comunque seppure in maniera minima una certa preoccupazione anche inconscia per la destinazione finale esiste, è tratto caratteristico da incontrare. “Comunque la mia indagine sul suono non è fine a se stessa – conclude il pioniere elettronico -. Il mio operare è legato a una visione poetica che va oltre alla ricerca. Quel che produco è indirizzato, teso a un pensiero”. Come a dire, che gli oggetti in questione si riferiscono a “opere poetiche” e non sono esibizioni e esplorazioni all’insegna della tecnica. Tra i suoi fari poetici, due nomi per tutti Celan e Holderlin.
In allegato: musiche dello studio di Fonologia Rai di Milano