David Mamet è un mito americano. Commediografo, sceneggiatore, regista. Ha sfiorato per due volte il premio Oscar e ha vinto un premio Pulitzer. E soprattutto è sempre stato un Liberal. Un progressista, un uomo di sinistra, un tipo “giusto” per la cultura newyorkese. E dunque anche per la nostra. Succede però che poche settimane prima delle elezioni di Obama alla presidenza americana, Mamet prende carta e penna e scrive un incredibile articolo per il Village Voice. Il tabloid degli artisti e del teatro, il settimanale dei radical chic, la rivista che inventò Off Broadway. E scrive: “Per anni sono stato un trinariciuto liberal. Ma non lo sono più”. David Mamet è passato sull’altra sponda. Mantenendo la sua favolosa capacità di scrittura: il senso del racconto e della finzione.

Ecco perché abbiamo pensato di tradurre il suo ultimo lavoro, The Secret Knowledge. Un’esclusiva per i lettori del Giornale. Un libro che ha venduto bene in America, ma che rischiava di non essere tradotto dalle nostre parti. Lo abbiamo fatto noi (Angelo Allegri ha egregiamente reso in italiano una scrittura molto complessa). Dal primo agosto, ogni giorno, per tutto il mese impegneremo due pagine del nostro quotidiano per una lettura avvincente che ci auguriamo garantisca ai lettori lo stesso piacere che ne abbiamo tratto noi. I capitoli saranno corredati da commenti, interventi e discussioni delle migliori firme della nostra cultura. La nostra versione di The Secret Knowledge (On the dismantling of American Culture) sarà Come ripudiare la sinistra e vivere felici. Diario di un liberale nuovo di zecca. Rende bene l’idea dell’intero lavoro.

La critica di Mamet alla sinistra mondiale, ai Liberal di ogni paese, a quella cultura del “sono fighetto perché penso le cose giuste”, è feroce. E si può tranquillamente applicare ai tic del nostro politicamente corretto. Mamet è fulminante: “I liberal di Hollywood diventarono comunisti solo perché non avevano ancora inventato la ginnastica Pilates”. Il premio Pulitzer, che ha scritto la commedia Glengarry Glen Ross (poi diventata un film con Jack Lemmon e Al Pacino) in cui si esasperano gli egoismi della competizione, scopre oggi e magnificamente le virtù del mercato. A 50 anni, e sembra quasi un film di Woody Allen, il suo rabbino gli fa leggere Hayek (La strada per la servitù, ben tradotto nella versione Reader’s Digest da Liberilibri, per chi volesse farsi una scorpacciata di liberisti) e gli cambia la vita. Molla Brecht per Milton Friedman con l’entusiasmo del neofita, ma con la consapevolezza della grande e accettata star di Hollywood. Per Mamet, Marx è un parassita che deve le sue fortune al capitalista Engels. Di Roosvelt scrive: “Alla ricerca del bene collettivo, ha smantellato il libero mercato e così ha distrutto l’economia di un paese. Ma la sua eredità più dannosa è il sillogismo: se tutto ciò che porta l’etichetta di Welfare non funziona, basta espanderlo”. Distrugge la moda stracciona dei giovani impegnati della sinistra e la retorica progressista delle televisioni e delle radio pubbliche americane.

È come se Eugenio Scalfari scrivesse un testo berlusconiano.

“Ho capito – dice Mamet – che vivevo in una bolla”. Il sistema dei media americani non ha granchè amato questa conversione. Sul Wall street Journal, uno dei pochi quotidiani a stelle e strisce che non ha deriso la scossa di Mamet, si legge: “Il fatto che un grande scrittore come Mamet si sia spostato a destra, sembra dare un po’ di ossigeno al soporifero conformismo delle arti americane.

Liberarsi dal sinistrismo mentre ancora si è immersi nello show business è come liberarsi dalla rete di Matrix per finire di trovarsi nell’Invasione degli ultracorpi”. Ovviamente il New York Times non ha gradito: “Si tratta di un libro molto irritante, scritto da uno di quei personaggi che in modo compiaciuto crede, avendo perso la sua fede, che egli possa ipso facto aver trovato la ragione”. Il Nyt non gli perdona il suo endorsment a Sarah Palin. O la sua battaglia contro le quote di ogni colore o la moda del global warning. Mamet si chiede per quale “magico processo gli adesivi sulle auto possano salvare le Balene o liberare il Tibet”.
A queste critiche, Mamet sembra reagire al modo di Al Capone nel suo film Gli intoccabili: “Siete tutto chiacchiere e distintivo”. Ecco quello che pensa Mamet dei suoi ex amici Liberal, che oggi lo considerano alla stregua di un boss mafioso. Ecco perché questa estate, alla spiaggia, in montagna, o dove meglio vi garba, conviene dedicare un po’ del vostro tempo a questa deliziosa lettura di un pensiero fuori dal coro.

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