Le banche affamate
Se avete due risparmi, cash in banca, teneteveli cari. Vi potrebbero servire per comprare proprio la banca dove sono custoditi. Cash is king , dicono gli anglosassoni. Mai come ora il biglietto contante vale più di quanto ci sia scritto sopra. Pensate alla nostra amata Bipiemme (spero che questo salvi la zuppa da una nuova minaccia di querela) o alla gigantesca Unicredit. È questione di settimane, ma entrambe chiederanno quattrini al mercato. Ce ne occupiamo non per accanimento (speriamo che anche questo ci salvi da una querela), ma per simpatia geografica. Le loro sedi, infatti, sono a due passi da quella del Giornale : Piazza Meda e Piazza Cordusio.
A un tiro di schioppo da Piazza Affari. La banca guidata da Ponzellini si trova nella condizione che solo pochi mesi fa avevamo descritto: i loro attuali azionisti, al termine dell’aumento di capitale, si troveranno in tasca il 10 per cento della banca. Insomma, la loro carta oggi non vale un granché. Il cerino ora è in mano a Mediobanca, che si è impegnata a realizzare l’aumento di capitale. Per il momento le opzioni sul terreno sono due.
La prima vede l’Istituto di Alberto Nagel costretto a tenersi in casa un bel po’ di titoli della Milano. Non è detto che gli dispiaccia; soprattutto ai prezzi che circolano oggi e con la fame di cash che c’è ingiro,gli sportellidella Milano non sono da disdegnare. La seconda opzione è in mano a un’altra vecchia conoscenza di Mediobanca, Matteo Arpe. È alla finestra. Ha dimostrato, nonostante la fama da duro, di saper trattare con i sindacati. Quando era in Banca di Roma, con Geronzi, si è beccato un solo sciopero: ma era di solidarietà nei suoi confronti. Possiede una banca (Profilo) che sarebbe una bella sposa per l’Akros (gruppo Bipiemme) e per questa via potrebbe mettere un piede, e qualcosa di più, nella gestione della banca di Piazza Meda. Tutte da vedere, se mai ci saranno, le trattative Nagel-Arpe. Due ragazzi che si conoscono bene. Pochi metri più in là, a piazza Cordusio, Federico Ghizzoni e i suoi passano le notti a fare il nuovo piano industriale. Si accettano scommesse sul fatto che esso contenga qualcosa di più che una possibilità di un aumento di capitale.
Con la clausola di salvaguardia (vanno molto di moda oggi le salvaguardie, Berlusconi nella sua manovra ne ha previste due e sono entrambe dolorosissime) della tenuta dei mercati. Ma il vero punto è trovare qualcuno che sottoscriva i titoli Unicredit. (Si vada oltre prima di chiamare gli avvocati per la querela). Dicevamo trovare qualcuno che sottoscriva in termini letterari. Chi cavolo firma l’aumento dicapitale per conto dei libici? E pensare che qualche pettegolo della finanza milanese attribuisce anche la quota di Abu Dhabi al giro di Tripoli. Ma, posto che Ghizzoni riesca a trovare un libico che gli metta la firmetta, tocca convincere le Fondazioni. Il caso della Fondazione del Monte Paschi di Siena potrebbe venire in aiuto. Semplifichiamo. La banca senese, circa tre mesi fa, aveva bisogno di quattrini, la Fondazione, che ha più della metà delle azioni, non li aveva. Allora ha pensato bene di vendere un bel pacco di titoli sul mercato e di andare dalle banche e chiedere in prestito 600 milioni per sottoscrivere l’aumento di capitale.
Risultato finale: il titolo del Monte si è schiantato e Goldman Sachs, che gestiva il consorzio di collocamento, ci ha perso qualche decina di milioni di euro. Ecco, c’è la medicina del consorzio di garanzia di banche internazionali. Ma mica sono fesse. Garantire oggi un aumento di capitale di Unicredit vuol dire farlo a prezzi da fruttivendoli. Brutta impasse per le nostre banchette. Ma se non crolla il mondo (e cioè l’America non fallisce e l’euro non salta) nelle prossime settimane, proprio qua, a due passi dal Giornale , ne vedremo delle belle. PS. E intanto gli azionisti di Mediobanca continuano a comprare. Ma non fidatevi, non vogliono rompere le scatole a Nagel&Pagliaro, guardano più in là: a Perissinotto e Agrusti. Ops, sì, c’è anche Galateri.