La paghetta dei politici e quella degli italiani
Gli stessi parlamentari che si apprestano a votare una manovra triennale che porterà le nostre tasse al 45 per cento del reddito non hanno intenzione di votare una sforbiciata ai propri stipendi.
C’è una buona ragione per la quale i deputati sono contrari al taglio delle proprie indennità: non possono essere i governi a decidere delle prerogative dei parlamenti. In ricordo degli scudi creati a tutela delle ingerenze dei sovrani, oggi i parlamenti sono immuni dalle norme retributive che possono prevedere i governi. L’impressione è che però questi signori stiano giocando con il fuoco. Si alimenta così un pericoloso scollamento dalla realtà del Paese, che gli stessi parlamentari contribuiscono a dipingere come nera, nerissima.
Cerchiamo di essere chiari. Oggi si chiede a 10 milioni di pensionati di rinunciare all’indicizzazione del proprio assegno, il che equivale a una perdita secca. Si obbligano 2,2 milioni di vecchietti ad aprire un conto corrente, a pagarci sopra un bollo, perché lo Stato ha deciso di non dare più loro pensioni in forma contante. Si allungano di botto i tempi per andare in pensione anche a lavoratori che ne avrebbero avuto diritto nel giro di pochi mesi. Ci si inventa una tassa retroattiva sugli scudi fiscali, che dovevano essere il conto finale e unico delle pendenze con le Finanze. Si aumenta il costo della benzina in un Paese in cui 59 italiani su 100 hanno un auto e l’89 per cento del trasporto commerciale è ancora fatto su gomma. Il che vorrà dire meno reddito disponibile praticamente per ogni italiano e un aumento dei costi dei prodotti finiti. Si decide di reintrodurre la tassa patrimoniale sulla prima casa, cancellata solo pochi anni fa. E lo si fa rendendola ancora più gravosa della vecchia Ici. Si decide di non dare più un’aliquota agevolata a chi affitta la casa e per questa via si ridurrà ancora di più il numero delle locazioni che oggi sono pari solo al 9 per cento del complesso degli immobili dell’intera Italia. Si decide di aumentare le tasse sui redditi. Lo si fa in modo un po’ vigliacco. Non cambiando le aliquote nazionali, ma quelle regionali. E dunque per questa via a pagare saranno i soliti onesti. Si introducono i bolli sui depositi Bot e conti correnti che possono arrivare a 1.200 euro l’anno.Si spiano i movimenti bancari di tutti gli italiani.
Insomma, è chiara l’antifona. Pagheremo tutti e pagheremo caro. Con scarsa, scarsissima attenzione alle libertà personali, al diritto di proprietà, alle questioni formali, che i deputati invece considerano così importanti quando si tratta degli affari loro. Gli italiani avranno tasse retroattive, tagli retroattivi, accise sulla benzina in vigore da ieri, doppia imposizione sul risparmio (bolli e cedolari) che è già stato più che tassato quando era reddito e gabelle sulla casa dall’incostituzionale sapore espropriativo. E i parlamentari che ci raccontano? Che c’èl’autonomia delle Camere, che la politica ha un costo, che l’antipolitica è pericolosa.
È tutto vero. E non si ha voglia di fare i pierini. Però manco essere presi per fessi. Quando un Parlamento chiede lacrime e sangue ai cittadini (è così presidente Monti, nonostante le sue improvvide smentite) deve quanto meno adottare la stessa misura a se stesso. Non è una questione di sobrietà (termine oggi molto in voga), ma di esempio e di sopravvivenza. Se è vero che l’Italia rischia il default e dunque i cittadini debbono diventare più poveri (è ciò che avverrà con la gragnuola di tasse che dovremo pagare) non è tollerabile il balletto ipocrita dei propri rappresentanti.
Il rischio che si corre è che l’antipolitica non si fermi. Oggi questa eventualità è molto più pericolosa per il nostro sistema politico di quanto lo sia la presunta violazione delle proprie prerogative istituzionali.
Così facendo i nostri parlamentari alimentano il mostro dell’antipolitica, delle proteste di piazza, del qualunquismo più sciatto. Devono fare i sacrifici per salvarsi e salvarci.
Quando un governo dall’oggi al domani cambia le carte in tavola per l’età di pensionamento (e bene ha fatto) non può pensare di aspettare i risultati di una commissione per decidere la propria riduzione dello stipendio: lo faccia e basta. Se non ama il decreto del governo (e ripetiamo che dal punto di vista formale ha ragione da vendere) decida lei quanto autoridursi l’appannaggio. Ma non tergiversi, così come non ha perso tempo quando si è trattato di tassare gli italiani.
Il rischio che i nostri politici corrono è che continuando così non possano più mettere la faccia fuori di casa o dal Parlamento e che il governo dei tecnici diventi agli occhi dell’opinione pubblica l’unica salvezza di questo Paese. Dio ce ne scampi. Faremmo qualche migliaio di anni di passi indietro. Roma val bene la riduzione di una paga.