Una Lira bucata
I sondaggi dicono che molti italiani vorrebbero un ritorno alla Lira. Si tratta di una pazzia. Disegniamo uno scenario semplificato, ma realistico. Il 1 gennaio 2013 non so quale presidente del consiglio o della repubblica a reti unificate annuncia che siamo fuori dall’euro. E che il tasso di conversione della Lira con l’Euro è di uno a uno. Magari già che ci siamo con la finzione di una banda di oscillazione del 5 per cento (modello serpente monetario). Tanto per iniziare è chiaro anche ad un bebè che la banda di oscilazione è un fregnaccia. Essa come insegna la crisi del 1992 verrebbe difesa solo dalla Banca d’Italia, con la sua ritrovata autonomia e sovranità. Essa non sarebbe in grado di difenderci un solo giorno. Potrebbe stampare moneta all’infinito, inflazionerebbe la lira e di questo passo la speculazione si alimenterebbe. La nostra navicella sarebbe troppo piccola per resistere ai venti della, comprensibile, speculazione.
Ma andiamo sul concreto. Il due gennaio del 2013 i nostri conti correnti sarebbero denominati in una moneta diversa dall’euro. Nel giro di pochi istanti i nostri centomila euro, diventerebbero centomila lire. Ma con i primi potevamo comprraci un auto di lusso, con i secondi, garantito al limonte, una 500. Sempre che sia fatta in Italia. Se no sarebbero dolori.
Le nostre case (l’80 per cento degli italiani ne ha una in proprietà) verrebbero denominate in euro. E la casona da 1 milione di euro, varrebbe un milione di lire. Ma vendendo quella supercasa e ottenendo le nostre lirette, non saremmo in grado di comprarci neanche un appartamento in Francia.
Insomma passare dall’euro alla lira vorrebbe dire ridurre la nostra richezza complessiva (oggi stimata in 8mila miliardi di euro) in un istante. Dubito che gli italiani così pazzi della Lira abbiano riflettuto su questa banale considerazione. Il passaggio dall’euro alla lira rappresenterebbe una gigantesca e iniqua patrimoniale sul risparmio italiano.. Altro che Imu.
Le imprese, si dice, potrebbero aumentare, grazie alla lira svalutata, le proprie esportazioni. Altro sogno. Come dimostrano i numeri delle nostre esportazioni post svalutazione 1992, il primo effetto è benefico per l’export, ma poi esso va velocemente declinando. Insomma le imprese tendono ad accucciarsi sugli allori. Fatturano grazie alla valuta debole (e non in tutti i settori, ad esempio quelli energivori sono fregati perchè debbono inportare la materia prima), ma nel medio-lungo periodo perdono quote di mercato. Non hanno incentivi ad innovarsi tecnologicamente, ad aumentare la produtività e a conquistare nuovi mercati. Le cosiddette svalutazioni competitive sono una droga. Inoltre la maggiore povertà degli italiani relativa al resto del mondo, produrrebbe un calo della domanda interna (ben peggiore di quello provocato dalla pressione fiscale di oggi).
Ci sarebbe qualche vantaggio per il turismo. Sì certo. Ma dovremmo combattere con Grecia, Spagna, Portogallo, che già oggi hanno grande attrattività e domani, nel nostro scenario apocalitico, si troverebbero fuori dall’euro come noi, e dunque svalutati.
Si potrebe continuare per ore. Ci fermiamo qua per carità di patria.