Bisogna stare attenti ai tempi e ai prezzi. E vedrete che la storia che vi stiamo per raccontare ha contorni inquietanti che non sfigurano di fronte al giallo Mps. Lunedì sera. Merrill Lynch per conto di un cliente, per ora sconosciuto, ha inviato una mail ai suoi clienti: abbiamo in mano un pacchetto di azioni Saipem del valore di circa 300 milioni e che vorremmo vendere. Il prezzo è scontato di circa il 3 per cento, come si fa in questi casi. Dunque rispetto all’ultimo prezzo di Borsa, le azioni Saipem, grande impresa impiantistica controllata dall’Eni, sono state cedute a circa 30 euro.
Passano 24 ore. E il nuovo amministratore delegato del gruppo fa quello che in gergo si chiama profit warning. Ma di quelli tosti. Rispetto al 2012 l’utile operativo calerà di un centinaio di milioni di euro. Il 2013 è il buco. Rispetto al consenso generalizzato (misurato da Bloomberg in 1,67 miliardi di euro) l’utile scende a 750 milioni. Un miliardo di utile operativo in fumo. I motivi: più o meno revisione dei costi e rischi collegati ai contratti in essere.
E arriviamo a ieri. Il titolo crolla, come era facilmente immaginabile, del 34 per cento. Ciò che Merrill Lynch aveva venduto (non si sa se sia riuscita a piazzare tutto il pacchetto) a 30, dopo un giorno vale 20. Non ci vuole Sherlock Holmes per dire che la vicenda puzza di insider trading lontano un miglio. Ci vorrebbe Watson per sapere a favore di chi.
Anche l’Eni, che ha in mano il 42 per cento di Saipem, fa un brutto capitombolo in Borsa. Le due società valgono insieme un quinto della capitalizzazione complessiva di Piazza Affari e perdono in un solo giorno 8 miliardi. Per la cronaca Saipem vale in Borsa più di quattro volte l’Mps. Non ci possiamo mettere a fischiettare e guardare dall’altra parte. Ci sono almeno due questioncine da risolvere subito.
1. Saipem ha visto solo un paio di mesi fa i suoi vertici decapitati per un’ipotesi di mazzette in nord-Africa. È stato fatto fuori anche il direttore finanziario dell’Eni (la capogruppo) che all’epoca era in Saipem. Ma i contratti potenzialmente a rischio nell’area valgono circa 6-700 milioni di euro su un portafoglio ordini di circa 20 miliardi e un fatturato di una dozzina di miliardi. E il nuovo amministratore ha fatto capire in una striminzita conference call con gli analisti che la rettifica dell’utile operativo del 2013 non sconta effetti sulle indagini giudiziarie. Mettendo insieme questi pezzi di informazione ne viene fuori un panorama desolante. I conti della Saipem e i controlli dell’Eni sembrano avere decisamente fatto acqua in questi anni. Come è possibile che a gennaio si dica che l’anno in corso vedrà margini dimezzati?
2. La Consob ha ieri chiesto a molti operatori del settore di fornire il nome dell’«oculato» venditore del pacchetto Saipem. E nelle prossime ore c’è da scommettere che uscirà. O se così non fosse, in un Paese serio, non si permetterebbe all’intermediario Merrill Lynch di avere vita facile. Resta il cattivo odore di una cessione da 300 milioni fatta il giorno prima di un pesantissimo profit warning.
Quando si parla e si straparla della credibilità dell’Italia forse converrebbe concentrarsi su questi aspetti apparentemente tecnici. Il solo pensare che sia possibile fare un insider trading in modo così plateale non può che essere figlio di una presunzione ben riposta: da noi non si riescono a perseguire reati di questo tipo. Vale per chi lo ha concretamente messo in atto e soprattutto per le fonti aziendali che hanno fornito le preziose e riservate informazioni in giro. Immaginiamo che uno dei duemila comitati, controller, sindaci, revisori, previsti dagli Statuti delle nostre blasonate multinazionali saprà spiegare agli azionisti come mai siano andati in fumo questi quattrini