Chi se li è meritati di più? Lionel Messi o Andrea Orcel? David Beckham o Fulvio Conti? Parliamo ovviamente di stipendi. I tifosi del Barcellona cosa ne pensano dei 15 milioni di euro (senza bonus e sponsorizzazioni) che si becca il loro beniamino? E gli azionisti di Ubs come valutano i 20 milioni attribuiti al boss della loro banca d’affari?
Fulvio Conti, il numero uno dell’Enel si è ridotto il suo stipendio da quattro a circa tre milioni. Peanuts se paragonati agli introiti di Beckham. Il sito goal.com ha recentemente stimato il patrimonio dell’inglese ingaggiato dal Paris Saint Germain in più di 200 milioni di euro e incassi in crescita, nonostante le sue performance in campo siano in discesa. Ma cerchiamo di arrivare al punto.
In tutto il mondo si sta discutendo della giusta retribuzione dei supermanager. In Italia la Banca d’Italia è intervenuta per bloccare la corsa ai premi, in Svizzera è stato fatto un referendum, in Spagna c’è un progetto per sottoporre la paga degli amministratori agli azionisti e in Europa è appena passata una direttiva. L’onda è questa.
Conviene mettere da parte ogni moralismo e pensare che, di per sé, stipendi stellari, almeno così ritiene il cuoco, non siano di per sé sbagliati. Ma sono davvero meritati? Sì, certo si troverà un tifoso irritato con Messi, ma è difficile che qualcuno contesti l’eccezionalità del suo talento e dunque l’effetto rarità (dunque minore offerta, domanda alta, prezzo che sale). Possiamo davvero dire la stessa cosa per i nostri amministratori delegati? Quale azionista davvero si preoccupa per il suo portafoglio se un top manager dovesse lasciare l’azienda?
Un importante manager ci confessava nei giorni scorsi: «Davvero pensa che per quel ruolo di amministratore delegato non ci sarebbero centinaia di persone in grado di svolgere il medesimo lavoro, con risultati altrettanto soddisfacenti? La sua alta retribuzione non nasce dalla mancanza di figure simili, ma è una sorta di premio che i consigli di amministrazione si riconoscono reciprocamente per auto tutelarsi. È l’alta retribuzione a rendere difficile raggiungere quel posto di lavoro e non viceversa».
Arriviamo al nostro Orcel, che può essere facilmente definito il Messi della finanza: non c’è grande ristrutturazione bancaria che non sia passata per le mani e i file excel del banchiere italiano. Ma il punto è che Orcel, prendiamo lui come paradigma di un fenomeno molto più ampio, è in un mercato la cui reputazione è oggi sotto zero. La sua stessa banca ha dovuto fare una transazione da più di un miliardo di euro per aver contribuito a manipolare il Libor. Ubs taglierà diecimila posti di lavoro e i conti non sono certo favolosi. Se le istituzioni finanziarie non riscoprono un po’ di prudenza nelle loro politiche di retribuzione, verranno spazzate via da iniziative populiste e antimercato. Come definire altrimenti il referendum svizzero, che per fortuna di Orcel verrà applicato solo nel 2013, e che prevede una rigida procedura pubblica per assegnare gli stipendi dei top manager?
Vi facciamo l’ultimo esempio, più domestico. Il numero uno dell’Enel è uno dei nostri manager più quotati. Ha reso la sonnacchiosa compagnia elettrica di Stato una bella multinazionale. Nei giorni scorsi ha annunciato la drastica riduzione della cedola da 28 a 15 centesimi: una botta per i cassettisti. Ha anche ufficializzato un taglio del 30% della retribuzione variabile del top management e del 100% dell’amministratore delegato. Ma c’è un problema, per così dire, di linguaggio: non sembra una grande concessione tagliare un pezzo di retribuzione variabile quando essa appunto è pensata per non essere fissa. Se non ora quando sarebbe dovuta variare? La comunicazione insomma racconta un non detto: retribuzioni variabili, bonus, incentivi vari sono per la classe dei top manager un diritto acquisito. Todos Caballeros quando si diventa top manager.
Far scendere da cavallo i top manager e riportarli con i piedi per terra è l’unico modo per poter garantire loro nel futuro ottime retribuzioni. E financo molto disuguali. Ma qualche gol tocca che lo segnino.