Le vere malate d’Europa sono le banche tedesche
Se domani la sede legale di Unicredit o di Intesa-Sanpaolo o persino di Mps dovessero per magia essere spostate a Francoforte, il valore delle rispettive azioni salirebbe in un istante. Per il solo fatto di abbracciare i regolamenti creditizi della grande Germania. Se, al contrario, Deutsche Bank dovesse traslocare baracca e burattini a Milano, sarebbero guai seri, per la prima banca europea. In pochi oggi mettono in discussione la solidità del sistema creditizio tedesco. Eppure se c’è un rischio per l’Europa sono proprio le banche della Signora Merkel. Che godono di immeritata reputazione. Intanto qualche numero. Delle circa duemila banche tedesche solo due di una certa dimensione sono private: Db e Commerz. Più di 1.100 sono banche cooperative, 450 sono casse di risparmio comunali e 10 casse di risparmio statali. Il sistema bancario teutonico è sostanzialmente pubblico. E le due reginette private sono davvero mal conciate.
Deutsche Bank è stata investita da uno scandalo da far tremare i polsi. Negli anni della crisi, hanno confessato due suoi ex dipendenti, la filiale Usa avrebbe nascosto 12 miliardi di perdite in derivati. Per farla semplice, ogni banca deve dare un prezzo di mercato ai suoi investimenti, la Deutsche non l’avrebbe fatto. Grazie a questo escamotage, non ha fatto quegli aumenti di capitale che tutte le altre banche europee hanno invece dovuto faticosamente chiedere al mercato. La storia di Commerz è ancora peggiore. Un quarto del suo capitale è oggi ancora in mano allo Stato. Negli anni della crisi finanziaria si è beccata (tra azioni in mano al Tesoro e Tremonti Bond alla tedesca) circa 35 miliardi di iniezione di quattrini pubblici: il doppio di quanto richiesto dal default cipriota e 5 volte la sua capitalizzazione di Borsa. I tedeschi a metà del 2008 costruirono un Fondo (Soffin) per aiutare le banche in stato fallimentare che aveva una potenza di fuoco di 480 miliardi (un quarto del Pil italiano). Fondo che ha prestato quattrini e comprato azioni a più non posso (la citata Commerzbank, ma anche WestLb, Hypo Real Estate e Aarel bank solo per citare le più grosse). Stiamo parlando di un Paese che gode di una grande reputazione di solidità, ma che ha un sistema bancario sostanzialmente pubblico e praticamente incasinatissimo.
Uno dei grandi manager di Unicredit ci ha confessato: «Ma secondo lei perché nel 2005 riuscimmo a comprare Hvb? Semplice: era in stato comatoso. Erano allora di moda le operazioni “cross border” e i tedeschi si volevano liberare di una zavorra».
Ci sono quattro motivi per i quali le banche tedesche sembrano, a dispetto della realtà, così solide. E si devono tutti alla loro grande influenza sulle Autorità di regolamentazione bancaria europea.
1.La banca ha bisogno di capitale per vivere. Ma le metodologie di calcolo cambiano da Paese a Paese. Un euro di mutuo in Italia assorbe ad esempio (cioè si brucia contabilmente) più capitale di quanto faccia in Germania. Insomma da noi il mestiere della banca è più difficile che in Germania solo per un regolamento più duro.
2. Si continua a spacciare un numeretto (il core capital di gruppo) come magico: più alto è, più si è in forma. Ma come dimostra il caso di Deutsche bank in America le medie sono fallaci. Se Db Germania ha 10 e America ha 4, si può fingere di avere un rapporto di 7. Ma è falso. Gli americani pretendono che la controllata tedesca a New York si ricapitalizzi, nonostante la casa madre stia in forma. È quanto successo a Unicredit che ha dovuto fare aumenti di capitale per l’Italia, nonostante la sua buona condizione in Germania. Per Mediobanca Securities questo problema in Europa ammonta a più di 100 miliardi di capitale mancante nelle capogruppo (deficit che non riguarda le banche italiane).
3. Le banche pubbliche tedesche (cioè la larga maggioranza) si finanziano a tassi statali di tripla AAA. Un tempo perché direttamente controllate proprio dai loro enti locali. Oggi perché finanziate dalla loro Cassa depositi e prestiti, che gode di un’ottima pagella. Insomma, la loro natura pubblicistica le mette in concorrenza sleale, ad esempio, con le nostre banche private che debbono andare a cercare i soldi sul mercato e non dalla nostra Cdp.
4. È inspiegabile come mai Deutsche Bank sia la banca europea più grande e, al tempo stesso, la più lontana dal soddisfare i criteri patrimoniali di Basilea 3. Non solo la lobby bancaria tedesca ha modificato nel proprio interesse tali criteri (rimuovendo ad esempio la leva finanziaria dai requisiti patrimoniali e mantenendo così la propensione anglosassone a fare i bilanci con i derivati), ma resta anche il Paese più in ritardo nell’adeguarsi a una tabella di marcia che gli istituti italiani già rispettano grazie a costosi aumenti di capitale.