Un elettrochoc all’economia
Più che una scossa è necessario un elettrochoc. Gli economisti, che non le azzeccano proprio tutte, possono passare mesi a discutere come rivitalizzare l’economia, facendo girare i loro modelli macroeconomici. Meglio intervenire per stimolare i consumi (meno tasse sulle persone fisiche) o più incentivi ai produttori? Due solidissimi scienziati nei mesi scorsi ci avevano raccontato le virtù dell’austerity ma, dopo poco, si scoprì che avevano sbagliato a inserire le cifre nella loro tabella excel (la copertina di Linus di ogni accademico delle scienze sociali che si rispetti).
Ci troviamo in una trappola. Da una parte siamo rattrappiti in una crisi di fiducia e di speranza mostruosa. Dall’altra viviamo ancora con aspettative che la finanza pubblica e la globalizzazione (un mix micidiale contro i nostri vizi) non rendono più realizzabili.
Il sistema economico gira se qualcuno è in grado di produrre merci e qualcun altro ha i quattrini per comprarle. In Italia siamo arrivati al paradosso che su 60 milioni di persone, una minoranza, circa sette milioni, produce qualcosa per il mercato. Il resto della popolazione o non lavora o è ancillare alla produzione (l’impiego statale, ma non solo, ne è il tipico esempio). Ecco perché ci vuole un elettrochoc. I brodini lasciamoli agli influenzati.
In queste ore il governo ha deciso di sospendere una rata dell’Imu, con un beneficio per il privato di circa due miliardi di euro. E per di più non ha dato alcuna sicurezza sulla tenuta della manovra. A settembre si vedrà. E ciò che toglie con una mano, rischia di riprenderselo con l’altra (maggiori imposte, spalmare la riduzione fiscale sulle case considerate dei ricchi). Capiamo le difficoltà del governo, le regole europee, i tempi per l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo, e tutti i bla bla bla. Una riduzione fiscale che possa avere un senso deve però essere certa e immediata. Senza queste due condizioni nessuno si azzarda a spendere ciò che domani gli potrà essere tolto con gli interessi. Rifinanziare la cassa integrazione in deroga è un altro brodino. Sì, certo, andatelo a dire a chi non avrebbe un reddito altrimenti. Ma dal punto di vista macro non ci rende più competitivi, non spinge all’innovazione, non cambia la struttura della nostra impresa: è una flebo per tenerci in vita.
Per dare uno slancio alla nostra economia si deve dare fiducia ai consumatori, dare una prospettiva alle imprese. È facile scriverlo, difficile governarlo. Ma è serio ricordare che la crisi che stiamo vivendo non è tanto la crisi dell’oggi, ma la cappa funerea che sta terremotando i sogni del nostro domani.