Prima è arrivato lo scontrino da 100 euro del caffè Lavena, in piazza San Marco a Venezia. Poi l’acqua minerale alla Zagara di Positano. E ieri la ricevuta da 120 euro per quattro succhi di frutta al Phi beach in Sardegna.

Tutti a stracciarsi le vesti per il costo esorbitante della consumazione. È un pieno di indignati su Twitter e su Facebook, i due popolari confes­sionali elettronici, e poi giù arti­coli moralistici sui giornaloni. Un caffè non può costare dieci euro, e un succo venti. E così an­dando. Fino a qualche lustro fa aveva­mo l’equo canone. Perché non stabilire per legge l’equo drink o il caffè solidale?

Sulla vicenda ci si potrebbe scherzare su. Ma è più seria e ri­guarda la nostra ignoranza sul funzionamento dei mercati: qualcuno forse pensa che i prez­zi (come un tempo i salari) deb­bano essere una variabile indi­pendente. Non vogliamo fare troppa filosofia, ma abbiate la pazienza di seguire ancora per un po’ il ragionamento. Tutti e tre gli scontrini di cui parliamo hanno caratteristiche simili. Sono battuti da locali piut­tosto rinomati. E i prezzi consi­derati ex post scandalosi erano esposti. Entrano così in gioco i due principi fondamentali di una società libera.
1. Il prezzo è un’informazio­ne, oltre che l’incrocio tra la do­manda (di acqua o caffè) e l’of­ferta. Quando l’informazione ci dice che un caffè costa dieci eu­ro, mentre il suo prezzo cosid­detto normale sarebbe di un eu­ro, ci dice che per particolari mo­tivi vi è un effetto rarità. O troppe persone lo vogliono acquistare o pochi commercianti sono in grado di somministrarlo. Il prez­zo è lo strumento migliore fino a oggi inventato per raccontare sinteticamente cosa stia succe­dendo su un mercato. L’alterna­tiva è che «qualcun altro» fissi il prezzo. Ma a quel punto ne di­scende che tutti i fattori di produ­zione, come ad esempio la loca­zione del bar, il tipo di prodotti venduti, la remunerazione dei camerieri debbono essere stabi­liti da questo «qualcun altro».Ec­co perché è fondamentale che un mercato sia competitivo: sol­tanto l’esistenza di altri luoghi in cui è possibile comprare il caf­fè o sedersi a un tavolino è garan­zia di buon funzionamento del mercato. Ma direte voi, se tutti i bar di piazza san Marco (visto che il luogo è quello) si mettono insieme per tirare su i prezzi, il nostro ragionamento non vale più un acca. Si forma un cartel­lo. Ecco perché diventa fonda­mentale il secondo aspetto del nostro ragionamento.
2. I maggiorenni che hanno comprato caffè a Venezia, ac­qua a Positano e succhi di frutta in Sardegna possono votare, sti­pulare un contratto, fare un fi­glio, abortire, divorziare, aprire un’impresa,assumere persona­le e comprarsi anche una pisto­la. Ma per quale ragione non sia­no i­n grado di stabilire la loro mi­gliore convenienza su come spendere i loro quattrini qualcu­no ce lo deve spiegare. Insom­ma non si vede per quale motivo economico e sociale si debbano tutelare questi signori dal loro er­rore ( se tale si giudica) posto che hanno a disposizione, in tutti e tre i casi, milioni di comporta­me­nti alternativi e più economi­ci da tenere ( la concorrenza esi­steva eccome): tipo prendere il caffè al banco, portarsi l’acqua da fuori,scegliere un’altra locali­tà per il proprio svago e via di­scorrendo.
Il punto fondamentale è che ci stiamo abituando a rivendica­re una molteplicità dei diritti (anche il caffè a prezzo calmiera­to) senza neanche supporre che prima c’è un dovere all’informa­zione e pretendiamo poi di esse­re deresponsabilizzati nelle no­stre scelte. L’abbiamo buttata giù un po’ dura,per soli tre scon­trini, ma temiamo che sia il ter­mometro di una società che chiede, forse inconsapevolmen­te, di essere sempre meno libe­ra. O più banalmente pretende che lo Stato sani i suoi errori.

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