Come previsto: arriva il buco della Tobin
Cari commensali vogliamo mantenere le promesse. Un annetto fa vi avevamo esortati a tenere in frigorifero la zuppa che fu pubblicata quel giorno. Il motivo era semplice. Neanche un bambino poteva credere alle promesse del trio Monti&Giarda&Grilli sul gettito che avrebbe procurato la Tobin tax. All’epoca parlammo nel titolo di «falso in bilancio». Ecco un assaggio di quella zuppa: «Tenetevi a mente questa zuppa (scrivevamo il 12 gennaio del 2013). E riassaporatela tra un anno, quando si avranno i primi saldi della truffa Tobin e vedrete che del miliardo preventivato, nelle casse sarà entrato sì e no un quinto. Il resto è un buco. Chi scrive considera le imposte una sciagura (sapete cosa intendiamo). Ma vorrebbe smascherare le ipocrisie. La Tobin tax all’italiana è una di queste. La morale è che più del 90% delle operazioni finanziarie condotte o intermediate dalle banche saranno esenti. E sui famosi o famigerati derivati si pagherà un mini bollo che può arrivare a 40 euro su scambi di milioni: sai che paura».
È passato meno di un anno. Ma già si può fare un bilancio. A fine ottobre il gettito della famigerata Tobin è stato inferiore ai 160 milioni di euro. E molto verosimilmente in un anno la tassa non porterà più di duecento milioni di gettito tributario. Esattamente quanto preventivato da tutti (oltre che dalla zuppa) un anno fa. Un flop. Che era ampiamente annunciato. E che provocherà un buco di bilancio di 800 milioni. Monti, Giarda e Grilli non ci sono più. Uno di loro tre (per carità stimatissimo professore e grande conoscitore della spesa pubblica, meno evidentemente del gettito fiscale) è vicino alla conquista della Banca Popolare di Milano. Un altro aspetta che passi l’anno sabbatico imposto dalla legge per ritornare a fare il consulente di una grande banca internazionale, da cui proveniva. E Monti? È senatore a vita.
C’è chi in Parlamento aveva previsto tutto (il più abile il democratico Francesco Boccia che ha cercato fino all’ultimo di bocciare la Tobin all’italiana), ma non c’è riuscito. E ora si sta cercando di correre ai ripari, per il mancato gettito. L’idea è quella di reintrodurre una sorta di mini-fissato bollato su tutte le transazioni (dunque verrebbero beccate anche le banche e i day trader) che sono pari a circa 12mila miliardi annui. Se fosse di un basis point, procurerebbe un gettito di almeno un miliardino di euro l’anno. Sarebbe certamente una tassa in più, ma sarebbe meno distorsiva dell’attuale Tobin. Riporterebbe in Italia un po’ di business che negli ultimi anni si è mascherato all’estero: gli intermediari italiani hanno perso il 30 per cento di giro d’affari a favore di soggetti residenti a Londra. Bell’affare, davvero. Goldman Sachs ha offerto ai suoi clienti italiani un prezzo su transazione inferiore al solo costo della Tobin tax, oggi pari a dodici punti base. La nuova Tobin metterebbe le banche italiane sullo stesso piano degli intermediari indipendenti. Ma, ripetiamo, per noi parlare di nuove tasse, anche se meno distorsive di quelle esistenti, è come per Fonzie chiedere scusa: difficile da fare se non impossibile.
La morale è che la Tobin ha sortito il solito effetto Laffer, che già vediamo su imbarcazioni, superbollo, e perfino Iva e accise sulla benzina. Ma sulla Tobin era anche più facile prevederlo: le transazioni finanziarie si spostano con un clic.
Ps. Sempre più calda la situazione sulle nomine pubbliche nelle ex partecipazioni statali. Movimenti ci sono anche per la potente Cassa depositi e prestiti, dove il posto di Giovanni Gorno Tempini un tempo ritenuto solidissimo, sembra rimettersi in discussione. Il tam tam romano vedrebbe il possibile ingresso di Dario Scannapieco, oggi vicepresidente della Bei e ieri uomo delle privatizzazioni del Tesoro.