Che lo Stato sia il problema e non la soluzione è un principio che conosciamo da tempo. Lentamente stiamo subendo un processo di mitridatizzazione, di assuefazione al veleno. Motivo per il quale assorbiamo tutto. La prova da laboratorio sono i debiti della Pubblica amministrazione verso i privati. Sappiamo che lo Stato paga «a babbo morto» e in una certa misura lo tolleriamo. Sembriamo vittime di una sindrome di Stoccolma, in cui il prigioniero si innamora del carceriere. Proprio ieri il commissario europeo Antonio Tajani ci ha ricordato come sia stata aperta una procedura di infrazione contro l’Italia e che per tale motivo rischiamo una multa. Quindi fregati due volte: da una parte lo Stato non onora i suoi debiti, dall’altra userà le nostre imposte per soddisfare le pretese europee. Sul fatto che gli euro-geni abbiano congegnato una multa che fa male alle vittime di un sopruso, sorvoliamo per carità di patria.
Insomma, torniamo ai debiti. Ne sono stati accumulati 100 miliardi. Una roba da far paura. Mentre noi siamo qui che fischiettiamo. In pompa magna due diversi governi ci hanno raccontato di averli sbloccati. La realtà è che solo un quinto è stato pagato. Una cifra ridicola, anche perché qualcosa sarebbe stato pagato per inerzia comunque. Inoltre negli ultimi mesi la procedura si è rallentata. Segnaliamo subito alcune lodevoli eccezioni: Regione Lazio e Provincia di Torino sono state le reginette nei pagamenti arretrati. Ma, dicevamo, le cose vanno a rilento. Mentre i nostri burocrati cincischiano, le prede crepano. Secondo Confcooperative un’impresa su tre è recentemente fallita per i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione. Per la Cgia di Mestre i fallimenti sono aumentati del 13 per cento rispetto al 2012: balzo dovuto in gran parte ai ritardi dello Stato.
Ricapitolando, lo Stato non ci paga il dovuto. Le imprese falliscono e dunque licenziano. Gli italiani con le loro tasse dovranno pagare le multe europee dovute ai ritardi di politici e burocrati.
E per il futuro? Le amministrazioni pubbliche hanno ideato un trucco. Dovrebbero dal primo gennaio del 2013 pagare entro trenta o sessanta giorni. Ebbene si sono inventati (è sufficiente, cari ministri, parlare con qualche imprenditore e meno con l’Istat o la ragioneria dello Stato) un trucchetto: chiedono di emettere fattura non al momento del contratto. O addirittura pretendono la rinuncia esplicita degli interessi di mora previsti dalla legge sul ritardato pagamento. E tutti zitti. Chi si mette a far guerra al proprio committente di lavori pubblici o di forniture in un momento di crisi come questo? Un ricatto

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