Il def è una boiata pazzesca. Come sempre
Tutti i presidenti del Consiglio si presentano in conferenza stampa e con l’arietta compunta dicono: questo documento economico e finanziario è una cosa seria e rigorosa. Il Def in effetti si prende sul serio e gli euroburocrati lo prendono sul serio. E i giornali e i giornalisti economici lo prendono sul serio. E le tabelle sono cose serie. E gli economisti lo prendono sul serio. Nulla è più serio del Def o di come diavolo si chiamava prima, cioè Dpef o quello che preferite. È talmente serio che delle persone serie, che da domani guadagneranno non più del presidente della Repubblica, ci lavorano giorno e notte per mesi e non contenti a metà dell’anno gli fanno un po’ di manutenzione. Il Def è la cornice in cui è contenuto il dipinto dell’economia italiana. Le imprese assumono, vendono e comprano, ma il Def lo sa: tanto che nella sua tabella, in genere in un bell’azzurrino tendente al verde, calcola minuziosamente il contributo delle imprese private alla ricchezza nazionale per l’anno in corso e per i due a seguire. Il Def, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Crea più posti di lavoro e commenti di una media fabbrica in Europa.
Ma ha un piccolo, insormontabile e ormai sperimentato difetto. Le cifre fondamentali che esso contiene sono seriamente e puntualmente fasulle. Boiate. Sogni. Stupidaggini. Se le scrivesse vostro figlio, ma quello piccolo, forse rischierebbero di essere meno simili ai vecchi gettoni. E non dipende dalla qualità della classe politica: dipende dalla folle, marxiana, deterministica idea europea di raccontare il futuro attraverso numeri che non valgono un accidente, ma si pretendono precisi alla virgola.
Il solito disfattista? E no. Facciamo i seri. E prendiamo dunque Monti. Un anno fa (non nel Medioevo) aveva previsto nel Def una crescita del Pil dell’1,3 per cento, un deficit dell’1,8 e un debito al 129 per cento del medesimo Pil. Tutto sbagliato. Arriva Letta e dopo pochi mesi si passa a una crescita ridotta all’1,1 per cento, a un deficit che sale al 2,5 e al debito che balza al 133 per cento. Poi arriviamo al nostro ultimo venditore. La previsione di crescita del Pil per l’anno in corso passa dall’1,3 di Monti allo 0,8 per cento: il che vuol dire lo 0,5 per cento in meno. Insomma il prof aveva toppato quasi del 40 per cento le sue previsioni. Nel loro Def i prof sostenevano che le sole riforme avrebbero fatto crescere il Pil dello 0,7 per cento: sì, bum. Il contrario, semmai.
Il Def sarà pure una cosa seria, come ha detto Renzi, e prima di lui Monti e Letta, ma non è realistica. Ciò non toglie che sia importantissima. D’altronde si vive di finzioni..
L’ultima ci dice che quest’anno sarà ancora duro con una crescita ridotta. Mentre nel 2015 le cose andranno meglio: saremo in forma, grazie, ovviamente, alle riforme di Renzi. Per l’anno che corre dobbiamo arrangiarci e raccattare il raccattabile. Per coprire i sacrosanti tagli fiscali. Ebbene Letta ci aveva raccontato nella presentazione del suo Def che non sarebbe stato serio fare i conti considerando i tagli previsti dalla spending review del neonominato Cottarelli, ma oggi diventa serio utilizzare 4,4 miliardi di quei quattrini (tutti ancora da tagliare) per abbassare le tasse. Per un appassionato della supply side economy (cioè da cialtrone liberista come chi scrive) chisseneimporta se c’è davvero copertura al taglio fiscale: l’importante è farlo. Ma se dovessimo smettere il cappello del cialtronismo (secondo i dettami dei nostri superprofessori) e indossare quello della serietà (il cielo ce ne scampi) ci sia permesso notare che oggi si mettono in campo risorse che ancora non ci sono (tagliare non è facile) e che il precedente governo riteneva di sfruttare solo quando effettivamente realizzate. Come dite voi a Firenze? «Prima vedere cammello?» o qualcosa del genere. Vabbè, ci siamo capiti. Renzi sarà pure molto serio, ma ha anche una buona dose di malizia, e tira fuori dal cilindro una nuova tassazione per le banche. Colpo da maestro (anche se su questa materia il copyright indiscusso è di Giulio Tremonti). E si inventa una nuova tassazione una tantum sulle plusvalenze che gli istituti faranno dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia. A Roma si definirebbe (l’intera operazione) una sòla, con l’accento al posto giusto. Chi ci legge da un po’ avrà forse capito che da queste parti una tassa è sempre e solo una tassa. E a pagarla, alla fine, è sempre l’anello debole della catena.
Insomma il Def sarà pure una cosa seria. Ma tocca mettersi d’accordo. L’unica cosa che in esso conta è la previsione della crescita economica: toppata quella, si toppa tutto, dal debito, all’occupazione, alle entrate fiscali, al deficit. E dunque le uniche domande che ci dobbiamo porre è: Renzi, con la sua prima defiscalizzazione, con il suo ottimo decreto che sbottiglia il lavoro a tempo determinato, è riuscito a immettere nel mercato quel pizzico di fiducia che farà riprendere consumi e investimenti? Se la risposta è sì, il Def e i suoi numeri potete con tranquillità archiviarli in quel cassetto di forma circolare, là in basso, sotto alla vostra scrivania. E vivere sereni e contenti.