Quel Tesoro di giustizialisti e perdenti
Il governo italiano, attraverso i suoi rappresentanti del Tesoro, sta facendo il primino della classe nelle società a partecipazione pubblica. Il presidente del Consiglio se ne vanta e, pur ammettendo che si tratta di un codicillo pensato dal predecessore e da Saccomanni, tira dritto. Nonostante le brutte figure.
Stiamo parlando dei requisiti di onorabilità dei consiglieri di amministrazione. Secondo i fenomeni del Tesoro, chiunque subisca un rinvio a giudizio (si badi bene non una condanna di primo grado) deve dimettersi dalla poltroncina più o meno dorata. Pensate cosa accadrebbe se una norma identica si applicasse all’universo dei nostri dirigenti pubblici. Molti analisti finanziari, giornalisti hanno applaudito. Buon ultimo Salvatore Bragantini sulla Repubblica. Senza però capire cosa ci sia scritto nella norma: non serve una condanna, basta il rinvio a giudizio. Un assurdo giuridico ed etico. Che però i fondi di investimento di tutto il mondo hanno capito bene. Uno di loro contattato dalla Zuppa ci ha semplicemente detto: «Avete tenuto dentro per un anno Scaglia per poi assolverlo e oggi pensate che qualcuno di noi si possa affidare alla giustizia italiana e alle sue sparate?».
Il Financial Times e la City di Londra diffidano del nostro sistema giudiziario e non possono dunque accettare la logica per la quale un’indagine possa compromettere una carriera prima di una sentenza se non definitiva, almeno di primo grado. Sono pippe che ci facciamo in questa Zuppa? Mica tanto. Il Tesoro è andato sotto all’assemblea dell’Eni. I fondi esteri infatti hanno votato contro il codicillo voluto dal Tesoro. D’altronde Paolo Scaroni glielo aveva detto in tutti i modi. Ma la figuraccia rischiamo di farla ancora nelle prossime settimane. Il 22 all’assemblea dell’Enel e il 15 maggio a quella della Finmeccanica. In entrambi i casi i fondi stranieri hanno una fetta importante dell’azionariato e si presentano in assemblea. Per fare passare il codicillo dei fenomeni ci vuole la maggioranza dei due terzi. Difficile ottenerla. E se anche ci fosse, in una delle due società o in entrambe, ci sarebbe il paradosso dell’Eni esente e degli altri colpiti da questa ipocrita norma giustizialista.