Palazzo Mezzanotte, centro di Milano. Sede della Borsa italiana. Dall’ingresso principale non sarà possibile passare. Fincantieri che presto sbarcherà (è proprio il caso di dire) in Borsa ha costruito una gigantesca prua navale, direttamente collegata al palazzo. L’effetto è favoloso. Il dito medio di Cattelan si intreccia in prospettiva con il cartongesso della Fincantieri. A parte i giochi scenografici, quello che conta è che la Borsa italiana sembra tornata a splendere. Solo Fincantieri e Fineco (la banca on line di Unicredit in lista per quotarsi tra pochi giorni) si porteranno a casa 1,5 miliardi di euro, che dovranno racimolare dagli investitori privati. Un altro miliardino (almeno) è previsto per altre quotazioni che avverranno entro la fine dell’anno. Senza contare Poste italiane che da sola potrebbe valere quattro miliardi.
Mal contati (e in modo del tutto prudenziale) si tratta di 6-7 miliardi di euro che passano dalle tasche dei cittadini alle società che si quoteranno in Borsa.
Lo stesso percorso (dalle nostre tasche a quelle di una persona giuridica) verrà fatto da ulteriori 12 miliardi di euro. È l’importo degli aumenti di capitale lanciati da una miriade di banche e banchette. Dai 5 miliardi del Monte dei Paschi di Siena ai più di tre miliardi richiesti dalle Popolari (Milano, Sondrio, Emilia Romagna, Banco e così via).
In sintesi nel 2014 la finanza privata ha fatto una manovra monstre che vale non meno di 18 miliardi di euro: l’1,5 per cento del pil italiano. Sono risorse che sono passate volontariamente dai privati alle società quotate (e non, come alcune banche).
Cosa dice questo fenomeno?
Una buona parte di queste risorse sono state rastrellate sui mercati internazionali. L’Italia e la sua Borsa hanno ripreso a essere attraenti. Alla fine dell’aumento di capitale del Monte, ad esempio, nel suo libro soci compariranno brasiliani, americani, inglesi ed hedge fund di mezzo mondo. Più difficile che la medesima geografia sia rinvenibile nell’aumento di Veneto Banca o della Sondrio. Ma, insomma, gli investitori stranieri ci sono.
Sia gli investitori esteri sia quelli italiani scommettono sulla ripresa economica. Passata la paura dell’euro (nel senso dell’abbandono della moneta) che avrebbe svalutato gli attivi finanziari, ragionano in termini opportunistici.
Nel mondo oggi i tassi di interesse sono straordinariamente bassi. Giappone, Stati Uniti ed Europa stanno conducendo politiche monetarie più che espansive. I titoli pubblici si aggirano (decennali) su una forbice di tassi mondiali tra il 2 e il tre per cento. Roba da suicidio finanziario. Le imprese dal canto loro si finanziano a tassi ridicoli. I titoli spazzatura americani sono arrivati a rendere meno del 5 per cento: e si chiamano spazzatura proprio per la loro alta probabilità di non rimborsare il capitale.
Ecco, in questo quadro, ragionano gli investitori di mezzo mondo, ma anche i nostri cassettisti, tanto vale comprare tricolore. Abbiamo fatto due calcoli.
La Borsa italiana vale 12,5 volte gli utili attesi (più o meno 40 miliardi su 500 di capitalizzazione) e per il 2016 scende a 10,5 volte. Il che vuol dire che il rendimento medio delle società quotate nella Borsa italiana (dato dagli utili attesi diviso il prezzo di mercato) è dell’8 per cento nel 2015 e sale al 9,5 per cento nel 2016. Le società non distribuiscono tutti gli utili: una parte diventa dividendo e una parte nuovo patrimonio. Supponendo che la metà venga distribuita agli azionisti, la nostra Borsa regala rendimenti di circa 4 volte superiori a quanto facciano le obbligazioni pubbliche. Una roba da acquolina in bocca. Per questo l’arrivo di 18 miliardi di soldi freschi, ha una sua razionalità economica. Che è basata su un presupposto formidabile: confidare nella ripresa e dunque nella crescita degli utili aziendali nei prossimi due anni.
Ps. I premi giornalistici sono la cosa più ipocrita che ci sia. Un modo elegante per attribuirsi reciprocamente meriti, onori e quattrini. Ieri leggendo sul Corriere della Sera il seguente pezzo abbiamo capito tutto. «Premio Pavoncella alla 27ª ora». Prime quattro righe che riportano la motivazione dell’ambito riconoscimento: «Il primo blog multifirme in un Paese che resta in fondo alle classifiche sulla parità, per costruire un’identità che sia un ecosistema nutrito da parti diverse, rispetto a un ecosistema connotato, ma chiuso». Abbiamo un’idea precisa di quale sia l’erba che coltivano in questi ecosistemi.

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