Una tassa è solo una tassa
Il celebre telefonino della Apple costerà in Italia qualche euro in più. Il decreto Franceschini, dal nome del ministro della Cultura, ha stabilito l’aumento della tassa sulle memorie elettroniche. Così agli autori di opere di ingegno (cantanti, registi e così via) si deve riconoscere un contributo forfettario per il loro lavoro, anche quando esso venga copiato dal supporto originale a quello vergine. Vabbè, lasciamo agli esperti la lista dei beni colpiti e le contraddizioni di questa norma. A noi interessa il principio. La regola d’oro delle tasse è che queste ultime vengono pagate sempre e solo dai contribuenti. Non c’è il mago Zurlì che se ne faccia carico.
Quando il governo Berlusconi introdusse con Tremonti la Robin tax si disse che si beccavano i ricchi petrolieri. Balle. Le imprese ribaltarono sui clienti finali la nuova imposizione (circa tre miliardi di costi in più per il sistema). L’authority ha addirittura trovato un’ottantina di casi in cui la procedura di rialzo dei prezzi (vietata dalla norma) fu fatta direttamente, senza alcun sotterfugio. Quando si aumentano le imposte sulle banche (e le nostre sono tra le più tassate d’Europa), queste ultime hanno buon gioco a tenere alti i costi dei conti correnti. Quando si introduce la Tobin tax (regalo assurdo del governo Monti) dicendo che si tassa così la speculazione, si ottiene il favoloso effetto di pizzicare i piccoli risparmiatori cassettisti e lasciare liberi i grandi speculatori in derivati che pagano in somma fissa e ridicola.
Non esistono la finanza, le banche, i produttori di telefonini e così via. Esistono i loro clienti, sui quali vengono trasferite le tasse che i politici fingono di voler applicare alle grandi e cattive imprese.
In un umoristico comunicato un’associazione di consumatori scriveva, riguardo all’ultima tassa sulle memorie elettroniche: «I prezzi debbono restare inalterati – così come chiesto da Federconsumatori ed Adusbef al tavolo di discussione ministeriale – e tutto dev’essere risolto in una redistribuzione dei profitti a scapito dei produttori che già lucrano abbondantemente sul prezzo di vendita».
Questi geni dei consumatori oggi piagnucolano perché era stato loro assicurato che gli imprenditori cattivi non avrebbero «lucrato» e disquisiscono sulla «redistribuzione dei profitti». Questi il mercato non sanno neanche dove sia di casa.
E non capiscono che la bestia da abbattere non sono le imprese (che si fanno i loro affari) ma lo Stato (che si fa i nostri, di affari).