Perché il Pil scende. Non solo numeri
Ieri l’istat ha certificato che l’italia é ritornata in recessione: la sua ricchezza diminuisce. Negli ultimi tre anni, non ci eravamo ancora accorti di esserne usciti. Oggi gli economisti ci spiegheranno il perché. Non ascoltateli. La gran parte sono diventati come i becchini, ci spiegano, semmai, perché il paziente é deceduto a tragedia avvenuta. Bella forza.
Ci permettiamo di fare un elenco micro (economico) per far capire come mai le questioni macro (economiche) non girano per il verso giusto. Tutto si affannano a parlare di numeri (macro), ma il problema è di comportamenti. É del tutto evidente che il buon senso, pensando all’attuale premier, ci sia, ma che per paura del senso comune venga sconfitto. Andiamo per ordine.
Il pil non cresce perché a quattro sindacalisti si permette di bloccare i bagagli dell’alitalia, ad un violinista e qualche suo socio si consente di fermare le rappresentazioni dell’opera di Roma e alla minoranza dei metalmeccanici é stato consentito di mettere in discussione in tribunale le decisioni di Marchionne sulla Fiat. Chiaro? Siamo un po’duri e antisindacali? E chissene frega di questo senso comune. Il buon senso dice che l’occupazione la creano le imprese e che la parte debole e da tutelare oggi siano loro.
Il pil non cresce perché un guru della cultura italiana, Settis, scrive su Repubblica che é disgustato delle file al Louvre; perché un vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Maddalena, scrive che i giovani che occupano il Teatro Valle sono dei volenterosi; perché invece di ringraziare uno come Della Valle che ha messo qualche milioncino per pulire il Colosseo lo abbiamo ostacolato in tutti i modi; perché il sindaco Marino ha trovato un paio di milioncini per la festa dell’orgoglio Rom e non un euro bucato per celebrare i 2000 anni del mausoleo di Augusto. Siamo un po’tranchant? Se aveste un albergo a Roma, pagando una supertassa di soggiorno, e dovendo difendere i vostri clienti dagli assalti alla stazione Termini, la pensereste come noi. Se vi fate un mazzo cosí e vi dicono che i vostri tavolini a piazza Navona sono illegali, e nel frattempo si dá spazio a bivacchi di evasori totali con borsette di marca ma false, bé allora il vostro spirito sarebbe simile al nostro.
Il pil non cresce perché siamo riusciti ad indagare Finmeccanica, una delle nostre poche industrie manifatturiere, e poi dopo qualche anno ci siamo accorti di aver esagerato. Abbiamo praticamente ucciso, senza ancora una sentenza che sia una, una delle piú importanti industrie siderurgiche europee, come l’Ilva. Non trivelliamo l’adriatico dove c’é un mare di petrolio e 15 miliardi di investimenti privati da fare, perché si rovinerebbe il panorama, ma nelle prossime settimane partono le esplorazioni di tutti gli altri paesi prospicenti che non vedono l’ora di succhiare l’oro nero. La Regione Toscana ha di fatto messo per strada 20mila lavoratori delle ceve di marmo, le stesse del monte Altissimo di Michelangelo, per fare un parco naturale. Un grande scultore come Giovanni Manganelli ha definito il nostro sfruttamento di quelle aree come un misero graffio su montagne impetuose. Un altro regalo ai nostri concorrenti.
Il pil non cresce perché dobbiamo aderire all’embargo dell’unico paese che ha una buona dose di miliardari che ci amano, come la Russia; perché abbiamo spernacchiato l’intesa con la Libia di Gheddafi subendo le prevaricazioni dei francesi e oggi facciamo fatica con i nostri interessi lá, mentre siamo inondati da clandestini qui; perché al nostro ministero della sanitá si occupano del colore della pelle della fecondazione eterologa e non della peste suina in Sardegna che ci impedisce di esportare i nostri insaccati in ricchi mercati esteri. Il buon senso direbbe che la nostra politica estera sia rivolta a fare business, noi pensiamo ad utilizzarla per liberare un posticino all’interno del governo per procedere ad un possibile rimpasto.
La lista, incompleta, potrebbe durare molto. E chi attribuisce al solo premier Renzi la colpa della recessione, fa un gioco miope. Certo era meglio piazzare i dieci miliardi di sgravi fiscali alle imprese. Ma non sarebbe bastato comunque a raddrizzare il legno storto della nostra economia. Ha ragione il premier a perseguire con forza riforme istituzionali che spuntino i poteri delle regioni e rendano l’esecutivo piú forte e il bicameralismo piú debole (la settimana scorsa le due camere hanno legiferato in modo contrapposto sull’assurda norma che pone limiti all’uso del contante per gli stranieri).
Ma la vera battaglia per riprendere a crescere é quella del buon senso. É riprendere a credere che i quattrini e l’occupazione vengono fatti solo dalle imprese e che lo stato deve fare di tutto per metterle nelle condizioni di competere al meglio. Meno tasse certo, ma é tutto il resto che oggi ci soffoca. Prima l’impresa e poi lo Stato, prima l’individuo e poi il burocrate e la sua norma.