Telecom. Dove sono finiti coloro che volevano la separazione della rete?
Sarà una combinazione, ma la nuova gestione della Telecom con presidente Giuseppe Recchi e consiglieri freschi di nomina, ha coinciso con l’uscita dalla tradizionale inerzia strategica dell’ex monopolista. Ci sono due grandi pietanze che sono in cucina. Gli investimenti sulla banda larga (quasi dieci miliardi in tre anni) e la ricerca di un nuovo socio industriale. Che poi sono la stessa cosa.
L’intuizione, per la verità, l’aveva avuta già la Telecom di Tronchetti: rete fissa e rete mobile devono convivere ed essere in grado di trasportare una gran massa di dati. Occorre però riempire questi tubi con qualcosa che i clienti siano disposti a pagare. Secondo Tronchetti il carburante poteva arrivare da Murdoch e se non fosse stato per la totale avversità della politica (Prodi regnante) ce l’avrebbe fatta.
Oggi siamo ritornati, grazie a un grottesco gioco dell’oca finanziario, al punto di partenza. L’occasione si chiama Vivendi. Un gruppo che ai tempi della new economy si era comprato il mondo e che oggi ha reginette dei media come Universal e Canal+, una partecipazione nella telefonia fissa in Brasile (Gvt) e una cospicua liquidità. A ciò si aggiunga che il suo presidente e azionista al 5 per cento si chiama Vincent Bolloré, secondo socio di Mediobanca, con passate mire su Generali.
Gvt è oggetto dei desideri degli spagnoli di Telefonica, azionisti in uscita proprio da Telecom Italia. A metà agosto emerge l’interesse concorrente anche degli italiani. Il disegno è semplice: unire la ricca controllata Tim Brasil con Gvt e portarsi in casa a Roma come azionista forte Vivendi. Sinteticamente Recchi & Patuano giocano l’all in. Con la carta Telecom si ingrandiscono in Brasile (dove vanno forte, basti pensare che negli ultimi cinque anni in Italia hanno perso un miliardo di euro di fatturato l’anno, mentre a San Paolo cresceva di 500 milioni) e nel contempo si trovano un azionista come Vivendi in grado di fornire contenuti da trasmettere grazie alla rete telefonica.
Incidentalmente occorre segnalare come nel giro di pochi giorni sia stata buttata a mare l’ipotesi di separazione della rete Telecom. Rottamati in un fiat anni di dibattiti sulla cessione del doppino: con le ipotesi di fondi, Cdp e quant’altro. Unire telefoni e contenuti ha senso solo se si controlla l’intelaiatura nervosa attraverso la quale i media finiscono nelle nostre case. Insomma oggi Telecom può trattare con i francesi solo perché ha ancora la proprietà della rete.
Dicevamo però che le offerte sulla Gvt sono due. Quella spagnola è per gran parte in cash, quella italiana è praticamente tutta in carta e cioè in azioni Telecom e della controllata brasiliana. I consulenti di Telecom, Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, gli uomini di Equita e Luigi de Vecchi di Citigroup sanno bene che se i mercati girano male sono dolori.
Quando la carta azionaria si deprezza, il contante riprende fascino. Telecom offrirebbe ai francesi un progetto industriale di crescita e di fornitura costante dei loro contenuti e della loro library (che resta imparagonabile con quella di Murdoch) e inoltre Vivendi disponendo già di una discreta cassa, non sarebbe affamata di liquidità. Più che la riunione del cda parigino del 28 agosto, conta l’offerta industriale degli italiani e la tenuta dei titoli in Borsa.
Vi è infine un tema di governance franco-italiana. Bolloré conosce bene le nostre abitudini e i nostri salotti. E il fatto che si attribuisca al finanziere bretone la volontà di ficcarsi in una nuova scatoletta di controllo (Telco 2) con soci italiani e francesi insieme deve far pensare. La questione è chiara. State pur certi che Generali, Intesa e Mediobanca (che con Telefonica condividevano il controllo di Telecom, grazie alla holding Telco) non hanno alcuna intenzione di investire direttamente in un business che non è il loro. Hanno già perso molti quattrini e non vogliono perdere anche la faccia rientrando proprio là dove hanno dichiarato più volte di voler uscire.
Difficile pensare (anche se qualcuno continua a farlo) che Mediaset (il cui azionista Fininvest è socio di Mediobanca) dopo aver chiuso un accordo internazionale proprio con gli spagnoli di Telefonica, si metta a fare affari sul capitale di Telecom (oltre a tutte le altre considerazioni più politiche e regolamentari). Insomma il sasso di Bolloré su una Telco2 non può certo cadere nel vuoto. Ma sembra più probabile che gli attuali azionisti siano disponibili a fare spazio nella governance diretta di Telecom che a inventarsi nuove strutture societarie di controllo.