Chi sono i veri padroni?
Ci voleva Matteo Renzi per far risorgere in Italia i padroni. Massimo D’Alema alla segreteria dei democratici si è retoricamente chiesto: è giusto che il padrone possa licenziare? L’unico quotidiano orgogliosamente comunista – e cioè il Manifesto – titolava su una grande foto di Matteo Renzi: la voce del padrone.
Ecco sono tornati i padroni. La sola ipotesi di cancellare una parte dell’articolo 18 ha riportato a galla ciò che in profondo la sinistra ha sempre pensato (non i pasti a base di bambini): gli imprenditori sono padroni, sono i nemici del popolo. I lettori dovranno scusarci e promettiamo di non citarlo mai più. Ma proprio il grande leader della sinistra intellettuale e romanaccia, Nanni Moretti, isterico in Palombella rossa urlava: «Le parole sono importanti». Ecco, definire gli imprenditori «padroni» è importante soprattutto per la sinistra e ci riporta nel passato. D’Alema lo fa in modo strumentale: non sopporta l’idea che a dare le carte sia un ragazzino e che per di più ha un certo seguito. E furbescamente evoca un mondo. Quello delle contrapposizioni dure, quelle del padrone e dello schiavo, quello dei giuslavoristi per i quali il lavoratore è sempre e comunque parte debole. Quello della differenza antropologica tra padrone e lavoratore. D’Alema dice a Renzi di essere scollegato dalla realtà. Può anche darsi. Ma anche D’Alema deve vivere una realtà piuttosto psichedelica. Sapete quanti sono i padroni che possono applicare il famigerato ed inutile articolo 18? Poco più di centomila. Il 2,5 per cento del totale delle imprese italiane. Il resto delle aziende è fuori dal reintegro. Veramente qualcuno oggi ritiene che il problema sia quello dei padroni? O piuttosto quello dei nuovi schiavi? Questi sì che sono aumentati. E si chiamano contribuenti.
Diceva Ronald Reagan: «Un contribuente è uno che lavora per lo Stato, ma senza avere vinto un concorso pubblico». Ecco, in Italia un’impresa lavora per lo Stato circa due terzi del suo tempo e impiega il resto per portare a casa la pagnotta. Lo Stato, senza chiedere il permesso, dice all’imprenditore cosa può e cosa non può fare, come farlo, quali carte firmare e come compilarle; la medesima organizzazione pubblica impone all’impresa un certo numero di dipendenti e consulenti che rispondano alle richieste, spesso assurde, dello Stato stesso e pretende che sia l’impresa a retribuirle. In questo scenario una sinistra che si volesse occupare davvero dei padroni e soprattutto degli schiavi, saprebbe bene da che parte stare. E cioè da quella degli imprenditori, piccoli ma anche grandi, schiavi di uno Stato bestia e padrone.