Volare in Italia? Buona fortuna
Il nostro sistema dei trasporti è un bell’esempio di come dovrebbe funzionare l’Italia e di come in realtà non funzioni. Per un momento togliamo dallo scenario i trasporti pubblici e locali. Che poi sono quelli che fanno più danni. Uno sciopero o un malfunzionamento di una metropolitana cittadina crea disagi che tutti ben conoscono. Stesso discorso per le ferrovie dello Stato. Esse stesse si definiscono la metropolitana d’Italia, e quando un loro pezzettino si inceppa, i guai sono fortissimi. Solo la rassegnata pazienza dei pendolari può accettare la tortura quotidiana di utilizzare alcune tratte locali così mal gestite da far pensare al terzo mondo.
No, in questo caso vogliamo parlare dei trasporti nobili. Quelli che sono gestiti dai privati. Insomma il sistema aeroporti-aerolinee. I fatti di cronaca li sapete. Un piccolo incendio dalle grandi conseguenze ha bloccato il terminal meno importante di Fiumicino. Senza che nessuno ve lo dica ufficialmente, Alitalia ogni giorno cancella voli per i casini che derivano proprio dalle conseguenze di quel falò. E per di più ciò avviene soprattutto nella tratta nazionale a più alta frequenza (Roma-Milano). Non capiamo perché Alitalia faccia finta di niente, o forse lo capiamo benissimo, ma se per colpa di un fornitore un imprenditore rischiasse di perdere definitivamente clienti (la concorrenza dell’alta velocità sulla medesima tratta è fortissima) farebbe fiamme e fuoco. Se possiamo usare questa metafora, pertinente, ma un po’ pericolosa in questa occasione. O come minimo un comunicato. Affari loro. Ma anche un po’ nostri. Ieri il malfunzionamento di un radar, sempre sulla dorsale romano-tirrenica, ha creato ulteriori disagi e ritardi. E a pagare? Beh è ovvio: sempre l’ex compagnia di bandiera e a scendere i suoi clienti comprensibilmente imbufaliti. Compagnia che è privata e, per un pezzo importante, a capitale straniero. I radar sono gestiti da un’impresa pubblica e in questo caso gli aeroporti centrano nulla.
Non vogliamo farla facile. E sappiamo che, come ad esempio nell’efficiente Germania, scioperi, contrasti, malfunzionamenti siano causa di grattacapi per tutte le compagnie di trasporto al mondo.
Semplicemente ai commensali che assaporano questa zuppa, vogliamo ricordare con Luigi Einaudi come la forza del capitalismo si basi sulla competizione, sulla concorrenza. Non è detto che un privato svolga meglio del pubblico un’impresa (spesso è così), ma è sicuro che la competizione spinga tutti a fare meglio.
Nel settore aeroportuale tocca darsi una svegliata. Ci riempiamo la bocca di politiche industriali. Lasciatele perdere, dimenticatevi i piani e le pianificazioni. Fate funzionare gli interruttori più banali per permettere uno sviluppo decente di questo paese. Radar, aeroporti, collegamenti con i centri cittadini, valgono più di una finanziaria in termini di Pil e di immagine di un paese. Noi li gestiamo con la mano sinistra. I privati sono stati abilissimi nel gestire la parte commerciale (e ben venga, nulla contro), ma scarsamente attenti alla gestione del servizio. Se fossero su un mercato competitivo gli avrebbero scippato il business da anni. Se ragionassero come il signor Brambilla si adopererebbero perché tutti giri (anche ciò che non dipende direttamente da loro) alla perfezione. Hanno invece un’attitudine burocratica, spolverata di managerialità. Spesso fastidiosa. La stazione, privatizzata della Tiburtina a Roma, obbliga i passeggeri provenienti dalla metropolitana a fare tre rampe di scale e perdere dieci minuti per scendere al binario (al posto di fare la strada breve e sotterranea che collegherebbe le stazioni in pochi secondi) al solo fine di fare il lookie lokkie (come dicono gli adescatori a Banckock) di negozi del primo e secondo piano. Deve essersela pensata un supermanager. Che ha ragionato così: valgono di più gli affitti che mi danno i negozi o la soddisfazione e la velocità di raggiungere il treno da parte dei clienti?