Questo paese di parrucconi è veramente una schifezza. Parrucconi buoni solo a declamare principi favolosi di onestà, correttezza ed eticità ci sono sempre stati per carità. Il problema è che abbiamo sempre pensato che sotto queste profumate parrucche, si celassero solo teste di rapa. Alzi la mano chi è a favore della disonestà? Faccia un passo avanti chi è favore della corruzione? Nessuno è ovvio. Il nostro parruccone moderno fa di più, questiona i quarti di nobiltà. Tipo alla Caccia. Vabbè tutti sapete della genialata democratica della commissione antimafia, guidata da Rosy Bindi. Non è pietanza da Zuppa, ma nel Giornale se ne parla. Eccome. Mentre la Bindi e soci si incipriavano la parrucca, anzi il parruchino, pensando a chi potesse entrare nella lista degli impresentabili, a Roma si teneva l’assemblea dell’Enel. Una delle più importanti società italiane e tra i leader mondiali dell’energia elettrica.
Cosa decidevano gli azionisti dell’Enel? I soliti conti e ricchi dividendi. Ma anche (brevina sui giornali) di allentare la cosiddetta clausola di onorabilità dei propri amministratori. In sostanza, fino a ieri, se un membro del cda dell’Enel fosse stato raggiunto da un avviso di garanzia e poi rinviato a giudizio, si sarebbe dovuto dimettere subito dalla società.. Ebbene ieri l’assemblea, quasi al 100 per cento, approvava l’allentamento della norma: non basta il semplice rinvio a giudizio, ma è necessaria almeno una condanna in primo grado.
Tutto bene quel che finisce bene dunque. Mica tanto. E così ritorniamo alle parrucche. Questa assurda clausola societaria non è stata introdotta ai tempi del fascismo, ma l’anno scorso dal ministro del Tesoro di Renzi. Gli uomini di Padoan, in rappresentanza appunto delle quote detenute in Enel, Eni, Finmeccanica e Terna, si erano presentati nella primavera del 2014 nelle assemblee delle società partecipate proponendo l’introduzione negli statuti della tagliola. Tutte le più importanti società avevano poi bocciato la proposta del Tesoro in assemblea. All’Enel ciò non avvenne, anche perché in quell’assemblea c’era rappresentato solo il 52% del capitale e il Tesoro da solo ne deteneva più del 30. L’enel fu l’unica dunque a diventare il fenomeno della legalità. La baggianata era talmente grande che i fondi internazionali, quelli che una certa pubblicistica avrebbe voluto a favore di questa norma statutaria, votarono in maggioranza contro alle volonta etiche del Tesoro. Chiunque abbia parlato con questi investitori sa che sono più preoccupati del funzionamento della giustizia italiana (che non nega un rinvio a giudizio a nessuno) che dell’onorabilità dei manager delle grandi società quotate. L’enel peraltro ha poi applicato questa norma ad un suo consigliere rinviato a giudizio (Salvatore Mancuso) che con il nuovo statuto approvato ieri non avrebbe dovuto fare alcun passo indietro. Ora infatti serve come minimo una condanna.
Qual è la morale di questa storia? Da parrucconi. Perché il tesoro del governo Renzi l’anno scorso fa il giustizialista con le sue partecipate (colpo che gli riesce solo all’Enel dove i fondi internazionali non riescono ad opporsi) e dopo solo un anno fa marcia indietro? Non che la norma fosse meno assurda nel 2014: da Scaroni, all’epoca all’Eni, ai grandi gestori dei fondi, tutti avevano spiegato la pericolosità della norma a Renzi&co. Eppure gli uomini di Padoan continuarono per la loro strada, per poi cambiarla, alzando la manina in assemblea, un paio di giorni fa. Ritornando al principio. Viene da pensare che il Tesoro nel 2014 si sia comportato come la Commissione Bindi (quella che si dovrebbe occupare di mafia) si comporta oggi. La stessa commissione che dalla parti di Renzi oggi viene così fortemente criticata. E vai con il cambio di parrucche. Olè.

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