logoVi devo confessare che dal titolo e, più ancora, dal sottotitolo non ero affatto attratto. Il Liberale che non c’è (sai che novità) e poi ancora «Manifesto per l’Italia che vorremmo» (pensa un po’ tu) è un pamphlet edito da Castelvecchi e curato da Corrado Ocone. Mi sbagliavo. E di brutto. Si tratta di una favolosa raccolta di scritti non omologati e ad alto tasso di liberalismo made in Italy. In fondo, a pensarci bene, gli editor della Mondadori avevano cambiato il titolo di un libro di Mario Cervi (e del sottoscritto) dal sofisticato Lo Scialo al pessimo e cheap Sprecopoli. Insomma non fidarsi dei titoli è la prima regola. Ocone ha messo insieme i grandi saggi del liberalismo italiano (Giuseppe Bedeschi o Dino Cofrancesco) con le giovani promesse del pensiero liberale (Giovanni Sallusti e molti degli autori che gravitano attorno al sito L’intraprendente). Ne è uscito un libro che si divora, fresco, anticonformista. Sarà difficile sintetizzare le tesi dei diversi autori. Partiamo dalla introduzione di Ocone che prova a spiegare il perché del titolo rifacendosi al prezzoliniano «La destra che non c’è». Con la differenza, aggiungiamo noi, che definirsi di destra, ieri come oggi, è scandaloso mentre etichettarsi come liberali è diventato chic, più che accettabile. Vabbè, a parte questa noterella, Ocone ci ricorda appunto come «il liberale sia sempre attento a coltivare il non conformismo, la dissidenza e l’eresia». E lega con maestria gli interventi che seguiranno: dai Cofrancesco e Bedeschi (appena citati) a Guido Vitiello, Giancristiano Desiderio, Sallusti, Luigi Marco Bassani, Paolo Savona e Luisella Battaglia. Tra le tante perle vi segnalo il capitolo curato da Laura Zambelli del Rocino, giornalista che trovate proprio sull’Intraprendente. Il titolo è «La questione femminile»: vi troverete immersi in una decina di pagine che sfatano e sbertucciano il neo-femminismo. C’è una critica serrata prima di principio e poi pragmatica (uno degli elementi tipici del liberalismo come ci ricorda Ocone) delle quote rosa; viene elaborata un’impietosa critica del femminismo di terza generazione che sembra avere come obiettivo principale proprio le donne che non si omologhino alla cultura liberal del neofemminismo. Nel pamphlet c’è tanto altro: bello il saggio di Sallusti sui tic dell’informazione mainstream. Da leggere il punto di vista dello storico Marco Gervasoni sulla supposta «Costituzione più bella del mondo». Interessante il punto di vista sulla partitocrazia e sulla sua camaleontesca rigenerazione nella seconda Repubblica.Insomma l’avete capito. Non dovete cadere nel pregiudizio sul titolo che ha subito chi scrive: Il Liberale che non c’è è una lettura che merita. Compratelo. O è poco chic scriverlo così esplicitamente?

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