Sono passate due settimane dal pezzo in cui si raccontava della plusavalenza fatta da Cdb sulle Banche popolari. Acquisti realizzati un paio di giorni prima del varo ufficiale del decreto legge che le avrebbe trasformate in spa. Ma ancoa nulla si sa dell’inchiesta. In quattro puntate riepilogo la vicenda nella nostra zuppa.
Nella prossima la smentita di un portavoce di Cdb che è tutta da leggere

Si tratta di una bomba finanziaria. È tutto contenuto in un’informativa della guardia di Finanza, commissionata dalla Consob, a disposizione della Procura di Roma, nelle mani del procuratore Stefano Pesci, dopo essere transitata in quelle dell’aggiunto Nello Rossi.
In una trentina di pagine le fiamme gialle descrivono i movimenti borsistici sui titoli di quattro banche popolari, realizzati dalla Romed, la cassaforte finanziaria di Carlo de Benedetti. L’inchiesta è solo alle fasi iniziali, nonostante siano passati undici mesi dalle operazioni di Borsa, ma si preannuncia esplosiva. Sono indicate puntualmente una lunga serie di operazioni sospette, la sintesi delle conversazioni telefoniche tra l’Ingegnere e i suoi operatori della Romed. Riguardano la movimentazione di titoli delle banche popolari per cinque-sei milioni di euro e di una plusvalenza realizzata di circa 600mila euro. C’è molto di più, ma a questo punto occorre fare un passo indietro.
LA STORIA
Siamo alla fine del 2014. Il governo Renzi ha intenzione di mettere mano all’assetto delle Banche Popolari. Sia chiaro, si tratta di cosa buona e giusta. Il loro governo societario, come dimostrano proprio gli scandali bancari di questi giorni, fa acqua da tutte le parti. In particolare è sotto attacco il principio di una testa un voto, per il quale le popolari risultano spesso ingovernabili o meglio sempre governate dai soliti. Della cosa si parla da tempo. Anzi si pensava di mettere una norma sulle popolari all’interno della legge sulle liberalizzazioni. Ciò non avviene. Solo più tardi in un consiglio dei ministri del 20 gennaio, il governo decide per un decreto (una botta secca) con il quale 10 banche popolari (di cui sette quotate) debbono trasformarsi in società come le altre, per azioni. È quello che voleva da anni il mercato finanziario. La notizia viene diffusa a mercati chiusi, ma già il giorno prima l’agenzia Reuters aveva anticipato l’esistenza del decreto. Qualcuno non si era tenuto il cecio in bocca.
LE INFORMAZIONI PRIVILEGIATE
Il problema è un altro. Nella settimana precedente al decreto queste popolari erano volate: in una settimana il Banco Popolare ha fatto il 21 per cento, l’Ubi il 15, la Popolare dell’Emilia il 24, la popolare di Milano il 21, e la famigerata Popolare dell’Etruria aveva fatto segnare un balzo del 65 per cento. Con volumi pazzeschi. Anche cappuccetto rosso avrebbe capito che c’era qualcuno che sapeva prima degli altri del decreto del governo. Il sottosegretario all’economia Zanetti è costretto a riferire in Parlamento e annuncia: la Consob ha fatto una serie di richieste dati agli intermediari sia italiani sia esteri. Solo ad esito ultimato di questi accertamenti si potrà capire se c’è la sussistenza dei presupposti di ipotesi di abuso di informazioni privilegiate. Passano i giorni e anche il presidente della Consob Giuseppe Vegas deve riferire in Parlamento. I suoi dati sono ovviamente più precisi, ma parziali. Fino a quel momento, dice Vegas, ci sarebbero 10 milioni di euro in plusvalenze su operazioni popolari (per dire). A questo punto la Procura di Roma, che su queste cose non scherza, apre un fascicolo e inizia ad indagare.
IL RUOLO DI SERRA
L’unico nome che circola è quello del finanziere Davide Serra, fondatore dei fondi Algebris. Viene convocato in Consob e uscendo dalla lunga riunione si dice soddisfatto e apprezza la rapidità dell’indagine. Nega di aver fatto operazioni a ridosso del decreto, ma conferma di avere da tempo una quota inferiore al 2 per cento di un’importante popolare. Alcuni osservatori sostengono che la vicinanza di Serra a Palazzo Chigi e in particolare alla consulente per le banche ed ex Morgan Stanley, Carlotta de Franceschi, configuri un clamoroso caso di conflitto di interessi. Nulla di provato, se non che all’ottima economista ad agosto non viene più rinnovato il contratto di consulenza. Avrà avuto di meglio da fare. E anche le dichiarazioni nette di Serra, non ho comprato titoli anzi ne ho venduti alcuni in perdita, mettono a tacere le mosconate di Borsa di inizio 2015.
L’INGRESSO DELL’INGEGNERE
Ma il meccanismo investigativo ormai si è avviato. Non è semplice capire chi compra e chi vende. La Consob scopre che una degli intermediari più attivi è la Romed. Si tratta di un gioiellino in mano a Carlo de Benedetti. Nel 2014 aveva chiuso il bilancio con il botto, riuscendo a vendere un negozio di Parigi a Chanel e facendo un utile per solo questa operazione pari a 97 milioni di euro. Chapeau. Romed compra e vende titoli in Borsa. E all’inizio del 2015, scopre la Consob, lavora molto sui titoli di quattro popolari. Bingo. I funzionari della Consob chiedono aiuto alla Guardia di Finanza, Come prima cosa avrebbero acquisito tutte le registrazioni tra gli operatori di borsa in sala operativa Romed e non solo. È qui che compaiono le telefonate dell’Ingegnere ai suoi uomini in cui si chiederebbe direttamente di investire in popolari. Il decreto del governo ancora non c’è. Ma l’ingegnere sosterrebbe di essere stato informato, tra gli altri, anche da ambienti vicini a Bankitalia. . Millantato credito? Può darsi. Ma i trader di Romed comprano e comprano. Alla fine per 5-6 milioni di euro. La plusvalenza finale sarà, secondo le carte della guardia di finanza, di circa 600mila euro. A questo punto si aggiunge all’iniziale inchiesta aperta a fine gennaio uno stralcio che riguarda proprio la Romed. Nel frattempo, a inizio febbraio, Carlo de Benedetti improvvisamente lascia la sua presidenza nella Romed. L’ingegnere aveva mollato tutte le sue cariche operative nel 2009 e solo nel 2013 aveva ceduto le quote della Cir ai suoi tre figli. Si era sempre tenuto la presidenza del suo gioiellino finanziario. In un consiglio di inizio febbraio (forse fine gennaio 2015) l’ingegnere scrive una lettera ai suoi consiglieri Romed e dice di volersi dimettere con “decorrenza immediata”. In consiglio viene spiegato che il passaggio della sua residenza da Dogliani alla Svizzera, rendeva a quel punto complicata la gestione burocratica della società. Intanto il corso della giustizia non si ferma. Nonostante la sua residenza italiana, l’Ingegnere dispone di un cellulare svizzero, per il quale sarebbe stata richiesta una rogatoria internazionale, al fine di avere maggiori dettagli su quelle settimane calde in cui l’ingegnere avrebbe chiesto ai suoi trader di comprare popolari, dicendo di avere notizie di prima mano sulla bontà dell’investimento.
Tutto scritto in un rapporto della guardia di finanza e nei documenti in mano alla Procura, brogliacci audio inclusi, che ora sono al vaglio di uno dei procuratori più tosti di Roma. L’unica istituzione che sarà in grado di stabilire se si tratta di “fiuto” o di altro.

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