Basta isteria, non è detto che sia un male
È chiaro piuttosto che l’Europa più che dei popoli sia diventata l’Europa di un establishment, colto, preparato, visionario, ma del tutto scollegato dalla realtà.
I mercati finanziari hanno dato una botta, facilmente prevedibile dopo il Brexit. Motivo per cui i dirigenti della City (per una volta coccolati, da chi in genere odia in modo preconcetto la finanza) auspicavano il Remain.
Le conseguenze sull’economia reale, che verosimilmente ci saranno, le vedremo però nei prossimi anni e non è detto siano così devastanti. Dipenderà dalle reazioni della politica, inglese ed europea. Coloro che oggi prevedono con certezza i «futuri disastri» economici coincidono più o meno con coloro che fino a ieri notte prevedevano la vittoria del Remain.
L’economia, e anche la finanza, procedono per sussulti, aggiustamenti, ma sono in grado di rispondere alle mutate condizioni di scenario, meglio di quanto si possa prevedere oggi a tavolino. Preoccupiamoci di Brexit, ma razionalmente, sapendo che i danni che la politica e la regolazione può fare al mercato è di gran lunga superiore agli errori che il mercato stesso (anche quello democratico dei voti) può commettere.
Dal punto di vista politico le cose sono invece molto diverse. Un tempo ci raccontavamo dell’Europa dei popoli e delle Nazioni: molto semplicemente non capiamo perché quando un popolo decide di abbandonarla ci si scandalizzi. Ieri, ad esempio, si è messo l’accento sulla circostanza che il maggior consenso all’Europa sia arrivato dai giovani contro gli anziani, in larga parte, questi ultimi, per il Brexit. Come a dire: chi guarda al futuro vota Bruxelles. Figurarsi. Ma anche se fosse, che facciamo, togliamo il diritto di voto agli over65? I loro suffragi valgono forse di meno? Neanche quando gli anziani erano più propensi a votare conservatore e in Italia la Dc si era assistito ad un loro svillaneggiamento come quello avvenuto ieri. Piuttosto se si deve andare a guardare la geografia del voto, si è realizzato ciò che una settimana fa scrivevamo proprio sul Giornale: working class contro Bruxelles e grandi città ed establishment a suo favore.
Se vogliamo veramente credere allo slogan che vuole l’Europa dei popoli, non ha senso dunque prendersela con gli inglesi. È chiaro piuttosto che l’Europa più che dei popoli sia diventata l’Europa di un establishment, colto, preparato, visionario, ma del tutto scollegato dalla realtà. Vive in cittadelle della politica europea, si forma in classi universitarie per iniziati, gode di privilegi anacronistici e si confronta al massimo con il banco dei check in degli aeroporti che frequenta.
Basta guardare alla folle propaganda degli euroentusiasti: un impasto di minacce e frasi fatte. Ma come, un popolo, un Paese rischia di mollare la baracca e ministri e parlamentari europei fanno la voce grossa? Possibile che non si siano resi conto del rischio che stavano correndo?
Il ministro delle Finanze tedesco, non Cappuccetto rosso, alla vigilia del voto ha minacciato l’Inghilterra del Leave di non avere nessuna possibilità di commerciare liberamente con il continente, ha negato lo statuto di mercato aperto di cui godono Norvegia e Svizzera. Commettendo così una serie di errori grossolani. Al popolo inglese le minacce tedesche, anche se commerciali, comprensibilmente non vanno giù. Inoltre il temuto ministro si è attribuito un potere che non ha. Con ciò mettendo in evidenza il fatto che la baracca europea goda di un deficit democratico piuttosto pesante. Bel colpo.
Non meglio la propaganda di casa nostra. Due giorni fa sul Foglio l’intervento del ministro dell’Economia Padoan è stato altrettanto imbarazzante. Le soluzioni individuate dall’illustre economista? Da una parte maggior integrazione, dall’altra «mettere in cima all’agenda dell’Europa il rilancio dell’economia e dell’occupazione».
Ricapitolando: un Paese cerca di uscire dalla Ue (e poi ci riesce), le opinioni pubbliche di mezza Europa sono disgustate dalle politiche e dalle burocrazie brussellesi votando di conseguenza e il nostro ministro parla di maggiore integrazione? Non c’è bisogno di aver lavorato in Procter and Gamble per capire che non è la migliore strategia di marketing per convincere gli eventuali incerti. L’accademia e la politica ci hanno raccontato per anni che l’allargamento della Ue era cosa buona e giusta, proprio contro l’idea di un’Europa di pochi ma buoni, e oggi il medesimo establishment ci parla di maggiore integrazione? Ancora più ridicola tutta quella storia dell’agenda e dello sviluppo economico. Ma come parlano questi mandarini? E come ragionano? Mettere in cima oggi vuol dire che era a valle ieri? No, tanto per sapere: quali erano la cime di ieri nell’agenda di Padoan&soci?
Il Regno Unito ha fatto uno strappo, inatteso financo per gli euroscettici più ottimisti. Sono ormai fatti loro. Noi dobbiamo reagire senza isterismi e semplificazioni. Gli isterismi sono di coloro che piangono il morto. Le semplificazioni sono di coloro che pensano che noi si possa fare altrettanto. Abbandonare l’euro per l’Italia (che male fece ad entrarvi) avrebbe costi ben superiori a quelli che avrà l’Inghilterra, che della moneta unica non ha mai voluto sentir parlare.