La folle violenza di un gesto senza senso.

Si può misurare il tasso di intolleranza, di razzismo, di una città come Fermo, o di una nazione dalla cronaca di un brutale omicidio? La risposta, secondo noi, è no.

Ed è pericoloso farlo. Ci riferiamo, ovviamente, alla brutale esecuzione di Emmaneul Chidi, da parte di un violento ultrà, avvenuto due giorni fa. Il punto che ci preme sottolineare non è tanto condannare l’atto di estrema violenza (che nessuno si sogna di mettere in discussione) e la pena inevitabilmente dura che deve essere comminata a un omicida che ha dimostrato di non potere vivere liberamente in un consesso di persone civili. Ciò che rende questa vicenda scivolosa è l’atteggiamento sociologico, politico e di contesto che si vuole dare alla storia di sangue.

Amedeo Mancini ha prima insultato la moglie di Emmanuel e poi lo ha ucciso con un palo, con un gesto di una violenza che non nasce da «un clima», ma dalla bestialità di chi lo ha commesso. Un giovane americano, proprio questa settimana, è stato ucciso a Roma da un punkabbestia. Nessuno può e deve ritenere che ciò sia avvenuto per una presunta contestazione, che so, dell’imperialismo americano. È violenza allo stato puro. Ci sono stati momenti della storia anche recente in cui il male era banale anche per il contesto in cui ci si trovava. Hannah Arendt riduceva, da reporter, le esecuzioni di massa degli ebrei nei campi di concentramento anche al semplice e buio rispetto di una folle procedura. Ci sono stati periodi della nostra repubblica in cui uccidere un fascista, ammazzare un giudice, giustiziare un comunista era compreso da uno stato diffuso di umori e sentimenti marci nelle fazioni in guerra civile della nostra società.

No, tutto questo non c’è nella morte del povero Emmanuel, un immigrato nigeriano che fuggiva le persecuzioni di Boko Haram e ha perso la vita nella nostra provincia. C’è una cronaca di ordinaria, ma non per questo meno condannabile, violenza. Si ripongano le armi della propaganda. Il razzismo è una cosa seria, impalpabile, si deposita negli atteggiamenti sociali con il peso impercettibile del borotalco, non con il clamore rosso della brutale e occasionale violenza di Fermo. E non si combatte con la retorica. Il razzismo può certamente sfociare nella violenza, ma ha bisogno di un brodo di cultura che lo accetti, che almeno lo tolleri. Nessuno oggi pensa che Emmanuel se lo sia meritato, come in passato purtroppo tanti sottovoce, dicevano e pensavano per coloro che non avevano il medesimo colore della pelle, o religione o credo politico.

Dare il giusto nome alle cose non è scontato. Conoscere il razzismo è il primo passo per combatterlo. Confondere i piani della violenza fine a se stessa, con il clima che esiste in una nazione o in una città non giova al rispetto che dobbiamo a noi stessi e alle vittime. Abbiamo timore di ammettere che il male fine a se stesso esiste, abbiamo bisogno di trovare una spiegazione sociale a un atto folle. No. Qui c’è una vittima, la sua famiglia, e un criminale.

Tag: ,