L’economia senza cuore fa i conti col disastro
Siamo uomini liberi e complessi e anche se il Pil cresce, i disastri preferiamo combatterli.
L’economia non ha sentimenti e non ha morale. È neutra. Il mercato ragiona in termini di incentivi e di prezzi.
Cosa comporta, quindi, una tragedia, un terremoto o una guerra, alla ricchezza di un Paese? Dipende. Il terremoto del Cile del 2010 portò ad una crescita massiccia del Pil, della ricchezza nazionale. Al contrario, lo tsunami del 2011 in Giappone portò ad un immediato crollo di Borsa (un sesto dell’indice Nikkei volatilizzato in poche ore) e fabbriche, dalla Canon alla Nissan, paralizzate. E dunque al Prodotto industriale in decrescita.
Cosa succederà in Italia? Intanto non è indifferente considerare le aree colpite. Una cosa è se la tragedia riguarda zone produttive che rischiano di perdere mercati per l’agguerrita concorrenza (il sisma che ha colpito Mirandola) un’altra è se la devastazione insiste su zone meno attive industrialmente come quelle rase al suolo nei giorni scorsi. Non vi spaventate del nostro cinismo. Stiamo spostando il piano dai sentimenti alla ragione. Ebbene, quando una zona colpita da un disastro apporta un contributo alla produzione relativamente basso, c’è il caso che la sua ricostruzione porti dei benefici netti alla ricchezza complessiva. Insomma, il saldo è positivo. Facciamo un esempio brutale. Se nelle periferie di Roma o di Milano ci fosse la possibilità di radere al suolo, con il consenso degli inquilini, un brutto palazzone pensato da qualche architetto progressista degli anni Settanta e sul medesimo terreno ricostruire un nuovo edificio, i vantaggi, non solo economici, sarebbero notevoli. Evidentemente i borghi medievali hanno un contenuto di storia, di sapori e di bellezza che non potranno essere risistemati. E per l’economia, non solo per il sentimento, ciò ha un prezzo: che è banalmente fatto dalla minor attrattiva turistica, e non solo, di quel sito. Si tratta di fare un saldo.
I disastri naturali hanno un impatto sull’economia. Ed è inutile fare i finti tonti, come per le guerre: spesso il loro impatto sulla crescita economica è positivo. Forse non nel breve periodo, ma già nel medio si rimescolano le carte e il Pil tende a crescere.
L’economia non ha sentimenti, ma gli uomini sì. Un disastro naturale ha un impatto sulle coscienze di tutti noi, sulla vita di chi è stato colpito, di chi è sopravvissuto e su coloro che si sentono in pericolo, che non è misurato dal Pil di un Paese. È il grande limite della macroeconomia, dei numeri applicati agli uomini, degli algoritmi che credono di prevedere i nostri gusti, di quello che Dave Eggers definisce il comunismo-informativo. Siamo uomini liberi e complessi e anche se il Pil cresce, i disastri preferiamo combatterli.