Le vere macchine del fango non chiedono neppure scusa
Da Repubblica a L’Unità, i giornaloni difesero la Marcegaglia e ci insultarono. Ora l’assoluzione di Porro li sbugiarda e tacciono.
Sono sei anni che aspettavo. Sono sei anni che tenevo nel mio archivio i ritagli dei giornali che mi descrivevano come un mostro. Due giorni fa il pm e il giudice mi hanno assolto con formula piena dal reato, poi derubricato, di tentata violenza privata nei confronti di Emma Marcegaglia.
Solo il vostro affetto e dei colleghi del giornale, in quelle ore del 7 ottobre del 2010, mi hanno dato la forza di aspettare e di tenere nota di tutto per ricordare. Il Giornale, Noi, eravamo la macchina del fango. E oggi che la giustizia ci dà ragione nessun quotidiano (tranne il Tempo) si è ricordato di fare altrettanto. Sono cose che capitano. Lo sappiamo.
A vostra e nostra memoria conviene ricordare chi sono quelli che veramente alimentano la macchina del fango, dai loro ufficetti puliti, con la loro coscienza di buon giornalismo, con quella arietta perbene da fustigatori dei corrotti, con la pretesa di essere scrittori e non travet in attesa dell’Inpgi. Ma andate tutti a quel paese.
Massimo Teodori a lungo pagato proprio dal giornale berlusconiano e che dunque dovrebbe conoscere l’aria di libertà che circola in queste stanze riesce a scrivere su Prima comunicazione: «CASO MARCEGAGLIA E SCHIZZI DI MERDA. La merda che schizza sempre più veloce dai ventilatori induce ad amare riflessioni su una certa stampa italiana, in particolare su quella più vicina al premier». E ancora: «L’uso violento dell’informazione basato su atteggiamenti intimidatori nei confronti dei dissidenti, per quanto mascherato da giornalismo investigativo, deve far riflettere tutti coloro che hanno a cuore la stampa libera e civile». E lo scrive sulla rivista, sia pure clandestina, che dovrebbe occuparsi di giornali e giornalisti. È la linea. Porro e gli schizzi di merda. Chissà oggi, tra una parolaccia e l’altra, se avrà la voglia questo signore frustrato e che si sente giovane grazie all’uso della volgarità di chiedere scusa non al sottoscritto, ma a chi gli ha pagato lo stipendio per anni.
Come tanti impartiva lezioni di giornalismo, senza preoccuparsi di chiedere, informarsi, conoscere prima di deliberare. Barbara Spinelli, sempre angosciata di dover meritare il suo cognome, parla, senza sapere, di «Violenza inaudita». Il Corriere della Sera e il Sole 24 ore titolano in prima pagina. «Dossier contro la Marcegaglia». Non presunto, come buona regola del giornalismo avrebbe dovuto far dire. Dossier vero e proprio. Eppure come dirà al processo il portavoce della Marcegaglia, la parola dossier non era stata mai pronunciata dal sottoscritto ed era una «libera interpretazione» proprio di Rinaldo Arpisella. All’epoca non si poteva sapere? Eppure i giornali il giorno stesso del fattaccio disponevano di tutte le mie intercettazioni telefoniche per di più in audio. Neanche dovevano fare la fatica di leggere: erano presenti sul sito del Fatto quotidiano. Chissà da dove sono arrivate? Per l’Eco di Bergamo e tanti altri giornali fotocopia il titolo era: «Dossieraggio contro la Marcegaglia. Blitz al giornale». Caso quasi unico Filippo Facci su Libero scrive: «Quando non è di sinistra la stampa fa dossieraggio». Repubblica e Roberto Mania colgono la palla al balzo e virgolettano la presunta vittima: «Le cose sono andate così, è stato davvero sgradevole, pago le critiche al governo». Ma cosa sarebbe stato sgradevole non lo chiedono? Il fatto che non abbia mai fatto una telefonata, dico una, alla sciura, non lo chiedono. Antonio Polito, allora direttore del Riformista, ha coraggio e titola a tutta pagina «Metodo Woodcock». Grazie. Tra i pochi con Enrico Mentana, allora direttore del Tg de La7 e Antonello Piroso, a farsi qualche domanda. Il direttore dell’allora Tg2 e oggi direttore del Pd1, Mario Orfeo, si scatena sul suo telegiornale e accosta il caso Marcegaglia al caso Boffo. È lo stesso Orfeo che ha ordinato a Uno mattina di non intervistare mai il sottoscritto e ha censurato una mia intervista a Tv Sette. Me ne sono fatto una ragione, e con il tempo ho capito che andare allo stadio nel posto giusto e selezionare gli ospiti in tv rende.
La Marcegaglia ottiene solidarietà addirittura dal presidente della Repubblica Napolitano che fa una nota ufficiale, dai tre segretari dei sindacati, da Bersani, Enrico Letta, Giorgio Squinzi, Moratti, Emilio Riva (che nonostante ciò ho difeso per quello che poi gli succederà) Sergio Marchionne, i Garrone e tanti altri. Tra le poche eccezioni ci fu quella di Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle, che conoscevano bene il giro Marcegaglia e i loro vittimismi. All’epoca non era facile disubbidire e li ringrazio.
La campagna di fango contro il Giornale dura settimane. La sciura piagnucola: «Io vado avanti. Non riusciranno a fermarmi» e ancora: «Non cambio la mia linea». Furbetta: nessuno, come poi si è visto dal processo, si è mai sognato non solo di minacciarla, ma anche solo di pensarlo.
E la stampa, il cane da guardia della libertà di informazione, tra il potente industriale e il giornalista propende per il primo: a quelle precedenti si aggiungono con il passare di giorni le favolose eccezioni come Ostellino e Pansa. Francesco Cundari su Il Foglio mi accusa di non poter scherzare al telefono e mi sfotte poiché sarei convinto «di lavorare al Corriere dei Piccoli». Il garantismo del foglio di Ferrara si ferma ad Arcore. Per Peter Gomez sul Fatto il dossier (poi rivelatosi inesistente) era «stato chiesto dalla proprietà al giornale»: Giuseppe D’Avanzo su Repubblica pontifica: «Questo non-giornalismo è soltanto la vetrina della collera di Berlusconi. Si nutre di calunnia e di menzogna. Diffama e pretende di distruggere ogni reputazione. Contamina ogni rispettabilità. Umilia e ferisce. È artefice di un linciaggio violento, permanente e senza vincoli che si alimenta degli odi del padrone. È soltanto lo strumento di una lotta politica declinata come guerra civile. Una guerra dichiarata unilateralmente da Berlusconi contro tutti. Oggi anche contro la Marcegaglia e Confindustria». Ma di che sta parlando? Nessuno di questi fenomeni giudiziari che si chiede per quale motivo il telefono del portavoce di Emma Marcegaglia fosse intercettato dalla procura di Napoli.
La storia finisce con una assoluzione. Sono stato fortunato, ho avuto ottimi avvocati e magistrati (anche dell’accusa) che hanno letto le carte e tirato fuori da questa macchina del fango. Orchestrata non dal Giornale, ma da fogli in circolazione che ogni giorno ci fanno la morale.
Ps: Sono stato fortunato, molti politici, amministratori, semplici cittadini, non hanno avuto la possibilità di urlare al pubblico la propria innocenza. Anche quando certificata da un magistrato che li ha prosciolti.