Governo fotocopia (ma della Cgil)
Se questo governo è la fotocopia di qualcosa, beh, lo è della Cgil. Nei mesi scorsi si è detto che l’esecutivo di Gentiloni altro non era che una copia sbiadita di quello di Renzi.
A giudicare dai comportamenti, limitandosi alle sole cose economiche, non si direbbe proprio.
Due delle riforme fatte da Renzi, lavoro e scuola, indipendentemente da come la pensiate sono state intaccate proprio dal governo Cgil. Vediamo.
La prima controriforma riguarda i voucher. Certo non sono stati introdotti da Renzi, ma in linea con i governi che lo hanno preceduto, il premier toscano li ha modificati, resi più accessibili, ma anche più tracciabili. La Cgil ha raccolto le firme per abolire un pezzo importante del Jobs Act (che non è passato) è come corollario anche i voucher. Nonostante la confederazione li abbia usati senza sosta nelle sue sedi locali, il principio di questi dinosauri del lavoro è che l’abuso di pochi valga la cancellazione per tutti. I dinosauri, che per primi sanno che si possono usare senza trasgredire ai principi per cui sono nati, hanno ancora l’idea di una società del lavoro ontologicamente truffaldina. E così sia. Il governo, per evitare il referendum, invece di modificare con ratio la norma, cancella del tutto lo strumento. Complimenti. La dittatura della minoranza, tale è quella che ha firmato il referendum. Lo Stato e l’Inps perdono circa duecento milioni di incassi l’anno grazie alla regolarizzazione dei lavoretti indotti dai coupon. C’è da urlare dalla rabbia. Alcuni politici che conoscono le cose del lavoro, penso a Sacconi, ma non solo, lo dicono da mesi. Per gli altri silenzio assordante. La Confindustria si è accorta dell’abolizione dei voucher a cose fatte, troppo impegnata prima a votare il referendum fallito di Renzi, poi a guardare i conti del Sole e infine a trovare un successore di Gian Felice Rocca all’Assolombarda che non gli faccia ombra e soprattutto che lo nomini di Fondazione Cariplo (che ha un piedino in Intesa SanPaolo, e una manona in Cassa depositi e prestiti). È così. Stupisce cari commensali il relativo silenzio di Carlo Calenda. Non è materia tecnicamente sua, ma è forse tra i pochi in questo esecutivo che conosce le imprese, e che cerca di tenere, come può ce ne rendiamo conto, la barra dritta.
Silenzio politico da parte di uno dei pochi ministri che la Cgil la conosce da vicino. I voucher sono un principio, tagliandoli ci siamo amputati un mignolo, ma drogati nella testa. Nello stesso Consiglio siede un ministro all’Istruzione, Valeria Fedeli, che come primo atto sindacale ha fatto un accordo con le confederazioni per peggiorare la riforma della Buona scuola.
Appena arrivata ha rivendicato i suoi trent’anni in Cgil come palestra di vita più importante della laurea che non ha. E chisseneimporta del pezzo di carta. Più grave il papiro pubblico con cui ha siglato un accordo per cui i neoassunti (circa 200mila) non sono obbligati a restare per tre anni nella sede di lavoro assegnata. Per carità, anche in questo caso se ne accorgeranno pochi, ma il prezzo lo pagheremo tutti.
La scuola, della cui importanza tutti ci riempiamo la bocca, è uno di quei settori in cui i danni si vedono ad effetto ritardato, mentre le demagogiche concessioni si misurano subito. La continuità didattica, così si chiama il diritto di uno studente a non cambiare un professore al giorno va a farsi benedire. Ciò che conta sono i lavoratori, sindacalizzati, e non gli studenti. Che, detto tra noi, meno studiano e più, generalmente, sono contenti.
Un governo a trazione Cgil, in un periodo in cui gli umori della piazza contano più dei ragionamenti, è proprio ciò che non serviva in questo momento. C’è solo da sperare che il premier Gentiloni se ne accorga il prima possibile.