Era il marzo del 1944, quando un manipolo di partigiani, facendo saltare una carica di esplosivo nel cuore della vecchia Roma allora occupata dai tedeschi, falcidiava una colonna di SS altoatesine in una trappola micidiale. L’attentato – è noto – scatenava la rappresaglia dei tedeschi, che si abbatté su 335 detenuti di Regina Coeli, politici e comuni, massacrati a raffiche di mitragliatrice nel buio di certe cave di pozzolana abbandonate, lungo la allora campestre Via Ardeatina. L’episodio era, o no, un atto di terrorismo?

Nel ’79, in piena strategia della tensione, a un Congresso radicale Pannella fu inequivocabile.
“Se il terrorismo va denunciato e colpito, insieme al terrorismo di oggi dobbiamo denunciare, come corresponsabile, l’intera storia della violenza di sinistra. Se le BR sono colpevoli, l’azione di Via Rasella configura anche essa una forma, da condannare, di violenza omicida”.
Il giorno dopo, invitato al congresso comunista, subii un linciaggio da Colosseo dopo aver ricordato la memoria dei ragazzi ammazzati in Via Rasella, “che erano due volte vittime del nazismo prima, e del terrorismo poi- aggiungendo -che erano per lo piu’ ragazzi di Bolzano, non SS ma SA, arruolati a forza”.

La reazione comunista alla polemica fu rabbiosa. “Il discorso fascista di Pannella è un’ignominia, qui ci sono le medaglie d’oro di Via Rasella”, era l’invettiva di Amendola. Proprio in quel momento Lama al palco comunicava di averlo denunciato alla Procura e lo addito’ insultandolo. Lui si trovava in alto. La platea si alzo’ in piedi, sembrava il Colosseo, e si alzò anche lui. Attorno a Pannella c’era il vuoto. Le Monde scrisse che era andato per provocazione vestito da Nosferatu.
Allora forse via Rasella era il modo giusto, tragico e drammatico, di affermare i valori socialisti, ma non è un oltraggio dire che per domani le cose devono essere diverse.