Cina vs. inquinamento: emergenza o opportunità?
Alla conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite tenutasi tre anni fa a Copenhagen, il direttore del Climate Group Wu Changhua ha annunciato che lo sviluppo delle energie a basso impatto ambientale è priorità nazionale per il governo di Pechino. Dall’essere un settore di nicchia, le rinnovabili devono diventare un mercato in forte espansione, con produzioni di scala per la grande distribuzione in grado di abbassare i prezzi in tutto il territorio. La Cina vuole farsi modello di sfruttamento delle energie pulite grazie al suo programma centralizzato e pianificato di politica energetica. Dopo l’incidente di Fukushima nel 2011, Pechino ha annunciato il ridimensionamento del suo ambizioso programma energetico nucleare e nuovi investimenti in impianti eolici e solari.
A giudicare però dalle recenti notizie sull’allarme per i gas tossici che stanno avvolgendo le grandi metropoli, il grandioso piano di Pechino rischia di rimanere un’ambiziosa velleità. Lo studio di metà gennaio dell’ambasciata americana in Cina, mostrando un livello di inquinamento nella capitale di 728 (su una scala da 1 a 500), lo conferma.
Anche le stime più ottimistiche sull’impiego effettivo delle rinnovabili sono ben al di sotto delle previsioni. Gli sviluppi recenti in politica economica ed energetica hanno determinato un cambio di rotta in direzione di soluzioni più tradizionali incentrate sullo sfruttamento di idrocarburi e combustibili fossili. Per molti cittadini è difficile mantenere l’iniziale entusiasmo per i progetti energetici, mentre si é avvelenati da un’aria sempre più inquinata.
Quali sono le ragioni di uno scarto tanto ampio tra intenzioni e risultati?
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L’inaugurazione di politiche più liberali da parte del nuovo Segretario del Partito Comunista, Xi Jinping, determina un marcato cambiamento rispetto all’approccio più conservativo e centralizzato del suo predecessore, Hu Jintao, per ciò che riguarda materia di privatizzazioni, sgravi fiscali per le imprese private e aumento dei consumi nel campo energetico. Xi continua a professarsi sostenitore di una forte riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili e a dichiarare che il piano di risparmio energetico nazionale rimane una priorità del governo centrale. Tuttavia, sembra che le indicazioni in materia di investimenti lascino ampio margine di interpretazione e libertà d’azione e che le strategie future saranno ancora fortemente incentrate sugli idrocarburi e sul nucleare.
Il nuovo piano energetico americano intrapreso dall’amministrazione Obama porterà, inoltre, ad una sempre minor dipendenza di Washington dal petrolio mediorientale e la conseguente flessione dei prezzi darà la possibilità alla Cina di attingerne più facilmente, diminuendo gli incentivi allo sviluppo delle rinnovabili.
Lo scenario, tuttavia, non è del tutto grigio, per due ragioni principali.
Primo, la Cina è impegnata ad assicurarsi l’indipendenza energetica per ragioni di sicurezza. Ciò richiede un consistentemente e costante investimento nelle rinnovabili. A Pechino sono infatti convinti che, nell’eventualità di un conflitto reale, gli Stati Uniti avrebbero la capacità di bloccare l’approvvigionamento di petrolio della Cina con un impatto gravissimo sull’economia interna del paese. Gli investimenti nelle energie pulite e rinnovabili sono dunque una parte centrale del piano strategico e di sicurezza della Repubblica Popolare.
Secondo, non bisogna sottovalutare l’impatto delle crescenti proteste e manifestazioni pubbliche contro l’inquinamento e i problemi ambientali. Negli ultimi mesi del 2012 si sono registrate in maniera sempre più frequente manifestazioni di dissenso diffuse su tutto il territorio da parte della società civile nei confronti della scarsa attenzione che il governo dedica al problema del degrado ambientale.
Anche in assenza di elezioni popolari, dunque, Xi Jinping dovrà necessariamente saper affrontare con la massima serietà queste nuove rimostranze pubbliche.