La recente decisione unilaterale di Pechino di creare una zona d’identificazione aerea difensiva (Air Defence Identification Zone- ADIZ) ha nuovamente infiammato i già delicati equilibri di forza nel Mar Cinese Orientale.

L’azione dei Cinesi ha, infatti, dato adito ad una serie di dure reazioni, in particolare da Tokyo e Washington, che guardano con preoccupazione alle mosse sempre più assertive di Pechino nell’area. Non è una novità che i toni della discussione sul controllo del Mar Cinese Orientale, e in particolare delle isole Senkaku/Diaoyu, siano aspri.

Il progressivo innalzamento della tensione degli ultimi tempi, tuttavia, ha portato ad un rischio sempre più concreto di un confronto diretto e questa volta la situazione merita particolare attenzione per tre ragioni principali.

In primo luogo, assistiamo per la prima volta ad un’azione tanto dimostrativa quanto concreta nei fatti da parte della Cina. Se la disputa per il controllo dei mari tra i paesi della regione si era manifestata per lo più attraverso una retorica sprezzante e azioni di disturbo dalle conseguenze limitate, questa è la prima iniziativa di larga portata intrapresa da uno degli attori coinvolti.

Questo non significa che a Pechino siano intransigenti e risoluti all’idea di avviare un’azione offensiva nel caso non siano rispettati i vincoli imposti. La difesa dello status quo esistente è, infatti, nell’interesse di tutti, a partire proprio dalla Cina. La nuova leadership di Pechino, tuttavia, ha la necessità di dare una risposta concreta e decisa alle preoccupazioni degli Stati Maggiori dell’Esercito Popolare, sempre più inquieti nei confronti dell’equilibrio strategico regionale. Per questa ragione rischia di essere spinta a prendere iniziative pericolose.

Da tenere d’occhio, inoltre, la possibile reazione degli Stati Uniti. A Washington sono convinti che la Cina difficilmente darà seguito concreto alle minacce, ma l’Amministrazione Obama si presenta a questo banco di prova in un momento di forte debolezza, logorata negli ultimi mesi da problemi sul piano interno e internazionale- dal fallimento dell’Obamacare, allo scandalo del Datagate, all’impasse della guerra civile siriana.

Il Presidente americano non può permettersi di sbagliare e, allo stesso tempo, non può farsi sopraffare da un atteggiamento troppo attendista: rischierebbe, infatti, di essere giudicato passivo e arrendevole, specialmente di fronte all’alleato giapponese, più risoluto che mai nel far valere le proprie istanze. Questa necessità di agire a tutti i costi rischia, tuttavia, di portare ad azioni avventate con conseguenze molto serie.

L’alto livello di tensione e di attenzione, infine, rendono lo scenario ancora più delicato poiché qualunque movimento o iniziativa rischia di essere interpretata erroneamente ed intesa come azione intimidatoria o addirittura ostile, con il rischio di scatenare una pericolosa sequenza di reazioni a catena e rappresaglie violente. Un così alto livello di tensione rischia di generare gravi errori di valutazione, al punto che tra gli analisti si è arrivati a paragonare la situazione attuale alla crisi cubana del 1962, quando, come oggi, c’era profonda incertezza sulle reali intenzioni di USA e URSS.

La premura e la necessità di agire a tutti i costi rischiano, dunque, di essere i maggiori pericoli in questo scenario. Obama e Xi dovranno saper dominare la fretta e mantenere i nervi saldi. Solo così sarà possibile abbassare i toni della contesa e scongiurare un catastrofe altresì annunciata.

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