Domenica 25 agosto 2013 – San Ludovico – Taurianova

In silenzio. Lo osservi mentre sta viaggiando chissà verso dove. Ha perso molta della Sua dignitosa eleganza. E’ spettinato, appena coperto da un pigiama che, ormai, sembra non Suo. Ha perso tanti chili: li ha consegnati, diligente, ad un male che non gli ha consentito alcuna reazione. Non mangia quasi più. Qualcuno, non sempre la stessa persona, Gli avvicina alle labbra esili ed indebolite un cucchiaio con della minestra. Talmente leggera, che non sa più di nulla. Il pranzo e la cena sono diventati solamente degli appuntamenti d’abitudine. Il necessario arriva attraverso la flebo. Sempre in azione. Dentro al flaconcino di vetro, un misto di farmaci e nutrimenti. Inutili. Tutto è inutile. Il padrone, dentro, sta invadendo ogni millimetro di territorio umano. Gli ha preso il corpo, poi la mente. Gli concede poche ore, pochi minuti di libertà. E apre gli occhi: ti guarda e ti chiede Amore. Ne riceve sempre meno di quanto ne comunichi. StarGli accanto è come sedere a fianco ad un pozzo di Amore. Senti che è già in Comunione. Io non Gli parlo. Lo accarezzo. Le mani dicono più della sciocca Mente. Le mani pronunciano parole migliori di quelle che escono dalle labbra. Le mani non sanno mentire. Mi guarda. Anche ad occhi chiusi. Sa che ci sono. Che siamo qui. E sentiamo che si rilassa. Non deve essere facile attraversare il tunnel. Ma, soprattutto, non deve essere facile tuffarsi nella Luce. Sarà fortissima, penso. Tanto forte che ti angoscia l’idea di sporcarla con qualche retaggio di vita. Lì, da quelle parti, le Cose saranno tutte Eccellenti, mi dico. Ecco perché ci impieghiamo tanto ad abbandonarci all’ultimo tratto di viaggio. Mi piace pensarla così, la vita e le sue fasi. Altrimenti, che senso avrebbe soffrire così tanto? L’infermiere passa, di tanto in tanto, osserva e va. E’ abituato, immagino, al copione. Lo vede recitare quotidianamente e chissà per quante repliche. Non gliene faccio una colpa: tende a salvarsi la vita. Si innamorasse di ogni sofferente, arriverebbe a casa distrutto. Il medico è sempre diverso. Tranne uno che torna periodicamente. Voglio sperare che lo faccia col cuore e non per dovere. Mi spiace che gli altri pazienti debbano assistere allo strazio di chi si prepara ad andare per non tornare. Li vedo spaventati come bambini. Indifesi. Sperano che non tocchi a loro, dopo. Ma chi può dire a chi toccherà, dopo? Potrebbe essere il mio turno. O quello di qualcuno che non è ancora entrato in questa corsia. Che non ci entrerà mai. Poi, spengo i pensieri. Lo guardo, lo aiuto a girarsi. Nella nuca leggo che va via. Nella nuca è dipinto il segno della fine. Mi alzo dalla sedia. La cedo a chi ha un inutile cucchiaio in mano. La cedo alla Fede e alla Speranza. E, forse, a Chi deve accompagnarLo fino al confine con la Luce. Mi rassegno.

… fra me e la legge…

 

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