Sabato 9 novembre 2013 – Sant’Oreste – Taurianova

 

Lunga, l’Italia, quando devi percorrerla seduto al tuo posticino dentro ad un pullman di linea. Anche se ne devi attraversare metà, dello Stivale, quando arrivi a casuccia hai le caviglie gonfie e dure come due cotechini freddi di frigo e la schiena di un minatore (con tutto il rispetto per i minatori, mestiere duro e molto poco considerato). Ma la voglia di Famiglia e camino è più forte del disagio dello spostamento. E, dunque, tablet in mano, sciallessa ad avvolgere e trolley in stiva e si parte. E si arriva anche. Grazie a Dio. Ed è Casa. Ed è Famiglia.

(Gli Spirlì nel ’91)

Certo, il termine Famiglia fa strano in questi anni. C’è chi non la vuole più. Chi la forma mista. Chi la vorrebbe arcobaleno. Chi pensa che Dio ne abbia imposto un modello. Chi la sfancula, ma ci resta attaccato per il borsellino. Chi la studia e la seziona, spesso senza ricomporla. Chi la sogna e non ce l’ha.

C’è chi, come me, la benedice. Perché è Famiglia e perché la sento radice e gemma allo stesso tempo. Mi nutro del suo affetto e lo restituisco fino a far gemmare nuovi rami, foglie, frutti. Linfa.

Perché senza famiglia non si può e non si deve stare.

Lo capissero quelle ciurme di pestati dalla vita che sciamano, nottetempo, per le strade dei quartieri più fichi delle grandi città. Birrozzo in mano, o bicchiere di plastica con cocktail da schifo, fatti con liquori da discount, cannetta in bella mostra, la malagioventù mostra il peggio di sé solo per entrare nelle cronache. In queste prime notti romane, dopo un anno di lontananza, me li sono visti venire incontro, ubriachi, spettinati, affumicati e trasandati. Oppure, ubriachi, poppati, stirati, H&Mabbigliati, gomminati e smutandate. Pronti a chissà quale rivoluzione del costume italiano. Ma glielo hanno detto che abbiamo già fatto tutto? Che non c’è altra rivoluzione che tornare sui libri, spaccarsi la schiena con lo studio e costruire una nuova generazione di gente coi maroni che fumano? Glielo ha detto qualcuno a questi qua che di degenerati e finti debosciati del modello maudit non ne abbiamo bisogno? Che a questo Paese serve una sterzata a 180 gradi e un cambio repentino di direzione? Verso il Meglio e non verso le cantine?

Palpebra calata e lenta, iride a lutto, immersa in un mare di nebbie da strafattismo oppiaceo, bocca impastata e conversazione mortificata da annebbiamento alcolico pari ad un inzuppamento di babà moltiplicato mille, gesti da bradipo a riposo, e l’arroganza di chi, vegetando, pretende pure di chiamarti stronzo. Come fai a parlarci? Io, l’altra sera, avevo un caricatore di calci in culo nella scarpa. Se mi partiva il primo, potevo continuare fino all’alba, a cadenza ritmata 1 – 2 .

Soldi buttati via dalla finestra, pensavo fra me e me, mentre mi si stagliavano davanti, nella mente fertile di immaginazione, le figure di ignari genitori di provincia che li mantengono “agli studi” fuori casa, perché “l’università vicina non è all’altezza”. Sciocchi padri. Partite a sorpresa, ogni tanto. Andateli a cercare e controllate cosa stiano combinando col vostro tacito avallo. A volte – spesso – diventano anche cattivi. E assassini. Bugiardi. Mignotte. O, peggio, fancazzisti. Diventano quelli che, un giorno non lontano, sbaglieranno a votare o non ci andranno, alle urne. O, magari, saranno in lista per chissà che meriti inutili. Quelli che rovineranno, e questa volta DEFINITIVAMENTE, questa Terra nostra.

Andate, mamme. Fate un salto nelle camere in subaffitto delle vostre figlie. Se negli armadietti ci trovate borse firmate e abiti preziosi, chiedetene ragione. Se non hanno messo collare e guinzaglio al Lapo nazionale, che potrebbe permettersi di omaggiarle di qualche sciccheria, allora quel dippiù puzza di balordaggine giovanile. Controllate che non venga da lavori svolti in orizzontale. Perché si comincia così e si può finire, fredde, in obitorio.

Giovani ubriachi. Di stupida finta spensieratezza. Di stupida finta rivoluzione.

A distanza, i loro coetanei che costruiscono. Pochi. Ma buoni.

Fra me e me. A casa.