La Calabria non si inginocchia davanti a Scopelliti
Mercoledì 20 novembre 2013 – San Benigno – Roma
Non dedicherò un fiume di parole a Giuseppe Scopelliti, governatore della mia povera Calabria. Non voglio infelicitarmi questi giorni sereni e ricchi di soddisfazioni personali e professionali. Non dedicherò all’amico di Fini ed Alfano, due delfini perdenti nati, più attenzione di quanta lui ne abbia dedicato alla sua e mia terra. Il governatore globe-trotter, lo definirei. Lo cerchi a Reggio ed è a Roma, lo cerchi a Cosenza ed è in Cina, lo cerchi a Catanzaro ed è a Milano, in Giappone, in SudAmerica, negli USA, a Parigi… Gira “un bel po’ di più” della Madonna di Fatima. Forse anche più della Buona Novella. Tranne che per i paesi abbandonati della propria regione.
Suppongo, poi, viaggi a spese nostre. Elevate spese.
Hai voglia a sperare di incontrarlo, tanto per dire, per le strade di uno dei 32 Comuni della Piana di Gioia e della prima fascia aspromontana tirrenica: non ne conosce, probabilmente, neanche la precisa collocazione sulla cartina geografica. E così per tutto il resto del territorio che governa. Non ci va così frequentemente da memorizzarne nemmeno l’esistenza.
Ha più scorta e corte di un re furfante. E come quello resta chiuso al sicuro dei palazzi. Senza contatto reale con la gente che, secondo lui e i suoi galoppini, dovrebbe rivotarlo. Magari per portarlo ancora più su.
Fa anche gesti eclatanti, il governatore. Si ribella. Abbandona il simbolo che dovrebbe ringraziare strisciando in ginocchio da Reggio ad Arcore, leccando la strada, come facevano le nostre antenate davanti alla Statua Miracolosa della Madonna della Montagna di Polsi. Si applaude per il risultato ottenuto e gongola. E si sente forte. Perché c’è un lunghissimo tappeto di lingue umettate di mare nostrum che gli lecca suole e culo, sperando nella grazia. Sua. In uno strapuntino. Magari vicino alla cassa.
Invia messaggi, emana editti, a volte lancia anatemi. Pensa di poter decidere della vita e della sofferenza. Di molti e molto. Soprattutto della Cultura, della Sanità, dell’Assistenza ai Deboli. Chiude ospedali, sordo agli appelli accorati. Non controlla, però, le palate di merda fra le carte e le colpe di quelli che lascia in piedi. Se ne infischia se i suoi calabresi partono, per curarsi, sperando, per tutto il resto d’Italia e del Mondo.
Veste elegante. Anche quando indossa jeans e maglioncino. Ci tiene. All’immagine.
Lo aiuta l’eterna faccia da bamboccione. Con rispetto parlando. Per i bamboccioni.
La cultura la affida al suo sanchopanza fidatissimo. Quell’assessore di cui non ricordo il nome, per non averlo dovuto pronunciare tante volte. Quell’assessore che si promette ai poveri assessori comunali che lo aspettano con la fascia tricolore in tasca e non lo vedono mai. O lo strisciano per così pochi minuti che non si ricordano nemmeno di averlo visto scendere dalla macchina blu.
Ah, Scopelliti! Gli amici comuni, più tuoi che miei, mi dicono che sei una persona pazzesca. Che sbaglio a mettermi contro di te. Per me e, oggi, credimi, per la maggior parte dei calabresi, sei solo un futuro ex. Molto ex e poco futuro.
Noi siamo sul piede di guerra. Tutti. Loro, la povera gente, ed io. E non andremo a scovare carte segrete o intrighi politici. Non ce ne intendiamo. Siamo ignoranti. Noi siamo più terra terra. A noi è bastata la tua assenza. Ce la ricorderemo quando tenterà di diventare presenza elettorale. Che, fossi in te, mi risparmierei. A noi è bastato anche il peccato di farci passare per traditori. Per gente che ha preso potere e non ha ringraziato. Sei andato troppo di corsa verso una poltroncina salvifica. Non ci hai interpellato. Come hai sempre fatto.Ci hai cacato zero, come dicono i giovani. Che non ti amano. Neanche loro.
Perdonerai la sfacciata confidenza che mi son preso dandoti del tu. Ma – come dire? – certi inviti che partono dal cuore lo esigono. E non dico altro.
… fra me e me. Calabrese orgoglioso di esserlo.