Renzi e i gay arrabbiati. E noi anche di più.
Mercoledì 26 febbraio 2014 – San Romeo – Taurianova
L’aveva detto, Renzi, anche prima di essere premier – da Sindaco di Firenze, forse – che non gli piacciono i matrimoni gay. E’, piuttosto, favorevole – aveva dichiarato – ad una sorta di unione civile di ispirazione tedesca, senza diritto automatico all’adozione.
L’ha, più o meno, ribadito, senza entrare nei particolari, chiedendo la fiducia per il proprio governo. Davanti ai senatori della Repubblica. Disattenti, annoiati, irregimentati. Come sempre.
Apriti cielo! Non era ancora arrivato all’ultimo gradino dello scalone del Senato, che già il mondo delle associazioni gay lo aveva crocifisso dalle finestrelle dei social network. Perché oramai, gli italiani – soprattutto loro – parlano solo attraverso i rettangolini dei social network. Perché fa fico! Non si parla più a voce, lungo lo Stivale. Né si comunica tramite lettera, biglietto, telefonata. Adesso si vomitano ettolitri di veleno attraverso post e link e mille altre diavolerie da muri virtuali. Di vite virtuali. Sentimenti e rabbie virtuali. Lotte virtuali.
Il social riporta e amplifica. Di un unico pelo iniziale, arriva, di post in post, una treccia finale. Kilometrica e cicciona. Con aggiunte da far accapponare la pelle. Nel bene e nel male. Aforismi, frasi celebri, citazioni, versi di poesie mai scritte, frange di prosa da bancarella. Uno schifo di bassissima lega che pretende di diventare quasi giornalismo. Se non letteratura.
E, dunque, anche le reazioni ai fatti di Stato, ormai, passano attraverso l’irrinunciabile rete del mondo virtuale. Capitani d’industria, stimati giornalisti, segretari di partito o rappresentanti dell’associazionismo usano twitter e facebook per i loro comunicati. Più diretti e personalizzati che se venissero concepiti da un addetto stampa. Fulminei, perché basta mettere la mano in tasca, tirare fuori un cellulare di ultima generazione, inforcare gli occhiali e scrivere, pigiando sui Nanotasti.
E, naturale conseguenza, tutti possono godere del consenso o patire il dissenso popolare. A turno, è toccato a tutti di subire vere e proprie gogne mediatiche. A me, come a milioni di persone. Anzi, a me, spesso, di più. Mi attaccano gli invidiosi, i mafiosi, i froci, le tonache menzognere, le beghine, i comunisti e i fascisti, i baciapile del Centro, i finti animalisti e le fidanzate dei miei fidanzati. L’Umanità, se consideriamo che risulto poco simpatico anche ai Rom e agli islamici. E ai russi di Putin. E a frau merkel.
Da poco, però, sono in buona compagnia. Il Matteo fiorentino si è aggiudicato il podio di Renzi più antipatico d’Italia. Perché? Ma, chiaramente, perché ce l’ha fatta. Perché sta lì. E perché ci si vuole pure fermare a lungo. E anche perché, da giovane, ha giocato e vinto sulle reti Mediaset e non su Raitre o La7. Perché è cattolico e non ateo, ebreo o muslim. E, soprattutto, perché è liberale vestito da piddino.
Ora, non credo che ci siano dubbi sulla mia collocazione politica e partitica, completamente opposta al loquace toscano, ma temo che la mia disponibilità verso di lui possa essere fraintesa.
Io non amo e non ammiro particolarmente il neo premier, ma, diciamo, mi fa meno schifo degli ultimi due. E di qualche suo compagno di partito, se di partito si può ancora parlare.
La cosa che, però, mi fa inalberare è il tempismo dei post da social preorganizzati, da sciorinare in bacheca già al secondo fiato del presidente incaricato nell’emiciclo del Senato. Hanno gridato all’omofobo! Al persecutore! Al reticente! Senza dar tempo all’eventuale nuovo capo del governo di formulare una proposta concreta e seria sull’argomento unioni civili. E si badi: non già solo per gli omosessuali, ma anche per tutti coloro che non vogliono o non possono scegliere il matrimonio come comune tutela.
Erano tutti pronti. Dietro le tende del Palazzo, probabilmente; pronti a uscire dall’ombra per urlare il loro ripetitivo dissenso. Magari con quel loro modo baraccone e circense di fare piazza. Con quei pride noiosamente provocatori di una provocazione da quattro soldi. Tanto da farci dire che ci siamo stancati di vedere i froci in piazza. Anche noi, ricchioni casalinghi – e seri – ci siamo stufati. Perché non li vogliamo più vedere impastati coi loro, i nostri diversi diritti. I nostri diritti di NON categoria. Noi facciamo altro rispetto ai seminatori di zizzania e di manifestazioni. Non ci adorniamo di pezzi di meteorologia per rompere i maroni in giro. E non sperperiamo danaro per finti atti di fintissimo coraggio, sul suolo patrio o in trasferta, giusto per sibilare a favore di telecamera e microfono uno slogan incartato nella velina di una redazione televisiva. Lavoriamo come tutti gli altri italiani, se abbiamo il lavoro. Oppure ce lo inventiamo, come fanno tutti coloro che non vogliono soccombere. E abbiamo tempo per ricordarci che siamo innamorati di un altro maschio solo quando lo ritroviamo, a sera, stanco quanto noi, nel lettone di casa. Solo allora focalizziamo che siamo omosentimentali e omosessuali. E rivediamo i peli sul petto suo e nostro. E ci adeguiamo.
E non mi si venga a dar lezione di coraggio o determinazione, come è accaduto nelle ultime settimane, quando ho espresso il mio parere su Luxuria a Sochi: mafiaNO lavora e rompe il cazzo in terre non facili per nessuno. E senza protezione alcuna. E senza soldi, non essendo nemmeno un’associazione, ma semplicemente un progetto etico da condividere di volta in volta, per portarlo avanti. E lo porto avanti io, anche se in ottima compagnia. Coraggiosamente. Consapevolmente. Senza piume sul sedere!
Dunque, zero urletti di recriminazione o protesta, ché son pronto coi calci in culo.
Siamo scocciati da questi spocchiosi ricchioni effeminati e lesbiche vestite da compagnuccio anni sessanta, con la puzza intellettualoide sotto al naso, che si credono detentori di una sorta di superiorità di razza frocia e che parlano a nome di un presunto movimento. Ma movimento de che? Ci hanno messo di tutto in quel calderone. Per raccogliere consensi, probabilmente. Anche i bisessuali. E che c’entrano? E perché dovrebbero stare in un club coi trans? O con gli uomini omosessuali? E, soprattutto, chi sono i queer? E perché mai Matteo Renzi, e chi dopo di lui, dovrebbe farsi tirare per la giacchetta dai capi del presunto movimento? O accontentarli nelle loro sempre più esasperate richieste? Bisognerebbe, probabilmente, avere la forza di ridimensionare le pretese e combattere l’arroganza delle minoranze sovraesposte.
Resto, intanto, fra me e me, in attesa di sapere che tempi si prospettano per la ripresa del lavoro.
(In queste ore, in Uganda è stata approvata una legge che condanna l’omosessualità come reato. Un omosessuale rischia l’ergastolo.)