Primo Maggio. Levano il Cristo mettono il Che..
Giovedì 1 Maggio 2014 – San Giuseppe artigiano – di ritorno da Bari
(Primo maggio: Fava e Pecorino)
Sì, per il 1 maggio, levano il Cristo e mettono il Che su magliette, stendardi, tazze da colazione, boccali, accendini, borse di pezza. Per il resto, è tutta una baracconata da festa del santo patrono.
I comizi, le parate, le bandiere arrossate, i foularini al collo stile Peppone, i pugni alzati e gli slogan sono solamente un vecchio ricordo.
Sotto ai palchi, oggi, solo un impasto non omogeneo di post punk, post rock, post metal, post post. Una sorta di galleria degli orrori da ricordo dei centri sociali. E, poi, canne, birre, qualche acido, qualche esagerato con la siringa nello zainetto finto incas. Una sbavata umana di sessantenni maschi col codino, un dente rotto, un orecchino sbiadito con la piuma attaccata o una pallina d’ambra o di pasta di corallo che ciondola, jeans sdruciti e che partono da sotto la panza da bevute. Le femmine loro coetanee, o sono ancora travestite da zingarone, con le gonne fatte da teli finti patchwork stile Holly Hobbie e i cappelli fatti in cina, ma dichiarati come fatti a mano a Macchu Picchu, oppure sono cementate in tenute da cacciatore, col capello corto e la sigaretta rollata all’angolo della bocca, col fiato pestilenziale dato dal mix tabacco e vino rosso.
Una fauna umana forzatamente viva, che, però, sparisce domattina, per tornare a combattere con Equitalia e i casini del lavoro. E della famiglia, quasi sempre sgangherata e, ovviamente, maleducata.
Già! Da domani si torna inesorabilmente alle spinacine e ai broccoletti, nel grigio condominio. Ma oggi, oggi!, il primo maggio, oggi è, ancora, panino e salsiccia e rutto libero. Perché il peggio non finisca mai!
Certo, alla festa di piazza non ci saranno i nuovi politici: per loro, SinistVa si scVive con la eVVe moscia, ed è tutto un impegno di testa, tutta na cosa cultuVale, di partecipazione non emotiva, ma controllata, e mediata.
Adesso i democrat e i sindacalisti le loro considerazioni le cinguettano su twitter, le postano su fb, al limite le bloggano. “Ma sai che palle salire sul palco e gridare Compagni! E, poi, Compagni! a chi?” mi dice un “deluso”…
Come dire che loro, i rossosbiaditi radicalchic, si incontrano alle feste mondane, alle Prime a teatro o al cinema, alle inaugurazioni, agli “eventi”, ma certamente non fra le bancarelle fasulle di piazza San Giovanni, a Roma. Quella è roba per sfigati. “Che nemmeno sanno da dove parte la tradizione del Concertone”.
Appunto, da dove parte? Ma, soprattutto, dove arriva?
Ogni anno è la solita solfa. Una processione di artisti “semi boh?”, che nessuno conosce e che tutti applaudono solo lì, davanti alla Basilica dei romani, giusto per dovere e per le riprese tv. Qualche battuta del presentatore di turno, quasi tutte contro Berlusconi. Due tre passaggi, durante i discorsi, di “fascisti!” e “antifascisti!”, che fanno sempre bene alla causa, soprattutto se sostenuti da qualche coro di amici che aspettano il turno per farsi notare. Giovanna Marini che esce dal contenitore sottovuoto, abbracciata alla sua chitarra, e intona un canto delle risaie e uno dei minatori (avvisatela che, ormai, è tutto automatizzato). La rossochiomata Mannoia che canta con voce piegata una qualche lagna rossocomposta. Un coro arrivato da qualche fabbrica (magari ferma da anni), stile Pomigliano o Termini Imerese, che si sgola col tradizionale “Compagni dai campi e dalle officineeee…”
Insomma, “ddu palle!”, come dicono a Roma. De Sinistra.
Fra me e me. #Senzapelisullalingua.