Martedì 12 gennaio 2016 – san Modesto martire – Redazione SUD, Zona industriale Porto di Gioia Tauro

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Non è così semplice, essere “razzisti”. Non è che una mattina ti svegli e non sopporti più metà dell’Umanità, che so, per il colore della pelle, la religione praticata, il credo politico, la scelta di vita. Non è che sei zingaro e ti odio perché vivi nelle roulotte o nelle baracche; sei negro e ti schifo perché “la pelle nera puzza per natura”; sei islamico e ti vorrei vedere ardere perché non credi nel mio, di Dio; sei americano e ti vorrei morto perché il tuo laicissimo “sogno americano” si avvera e la mia speranza mediterranea è un po’ “se Dio vuole”; sei russo e c’hai Putin, mentre a me è toccato renzi. O sei cinese e non ti amo perché mangi il serpente…

No, no. Il “razzismo” di cui mi macchio è ben altra cosa. Una scelta, direi. Pensata. Analizzata. Scelta. Indossata e assorbita fin nel nucleo di ognuna delle cellule del mio indomito organismo.

Sono razzista, per esempio, nel rispetto del ricordo delle centinaia di migliaia di meridionali, massacrati dai soldati sabaudi e dai garibaldini di cavour e della sua lurida massoneria, caduti per dare vita a questa mia Italia in cui il rosso della bandiera è sangue giovane e innocente immolato alla Patria (sbagliata); il bianco è segno della mancanza di coscienza di presunti padri della patria, guidati solo dall’avidità di potere e di denaro sonante; il verde è la bile che schiuma dall’anima di ognuno di noi al pensiero che tutta quella farsa sia accaduta veramente.

Sono razzista, quando leggo che la Resistenza, un po’ dei preti un po’ del demonio rosso, ferrava, mani e piedi, come cavalli,  i fascisti più poveri rimasti naivement in camicia nera, mentre quelli ricchi gozzovigliavano già in Vaticano e nel Palazzo appena riformato, e travestiti da “nuovo che avanza”. E puah, sì, puah!

Razzista lo sono anche quando penso a quelle migliaia di italiani, “giudei” e non, spogliati dei propri averi, dei propri sacrifici, e caricati su aerei e navi di fortuna da una masnada di beduini capitanati dal giovane Gheddafi, che li cacciava dalla Libia, ricca per l’ingegno italico, per fottersela in piena libertà come carne di bordello, fino all’arrivo delle bombe francesi del nano strafottente e, infine, cornuto!,  fottuto.

Razzista, sì, razzista lo sono, oggi. Con le strade, le piazze, le scuole, le case di noi italiani gravide di vagabondi mentecatti sbarcati da navi pirata, con la faccia da santo e il cazzo da demonio. Assatanati di terra, potere e figa. Come lo erano i loro progenitori saraceni, già servi di un dio senza pietà.  Ci scannavano allora, ci scannano adesso. Dopo aver urlato la stessa litania. Senza pietà. Razzista, sì, razzista. Perché a me lo Stato leva il lavoro, la casa, la famiglia, la dignità, la forza di reagire, di risollevare il capo. Magari, perché ho voluto due televisori, lo spremiagrumi elettrico e l’auto nuova. E ho fatto più rate che colazioni al mattino. Quelle rate che lo Stato mi ha detto, ogni giorno, che potevo permettermele perché c’è “il tasso zero”… Mentre ad ognuno di loro, “nuovi italiani”, assicura il trattamento a cinque stelle lusso, non sia mai si dovessero sentire indesiderati nella “terra dei coglioni”. Eh, già! Questa ignorante Italia, che ha smarrito la corona di Cesare e Ottaviano Augusto e si è trasformata nella penisola dei codardi senza gloria. La terra in cui io, italiano deluso e frastornato, mi sveglio “razzista”. Senza rimorso. Senza pietà. Senza sentirmi in peccato!

Sono razzista, eccome, dentro i treni della metropolitana di Roma, saccheggiati dalle zingare ladre, a plotoni di quattro cinque, arrestate e liberate prima che anche Superman se ne possa accorgere.

E lo sono, razzista, alle frontiere del mio Paese, derise e sbeffeggiate da orde di clandestini d’ogni etnia, terroristi e non, che mi assediano e mi conquistano senza sparare un colpo. Giusto perché, così, se lo risparmiano per tempi migliori. Quando, per esempio, lo useranno dentro a un cinema, in un mercato, una scuola, un ritrovo di giovani. Tanto per massacrarne di più, di quelli come me.

Sono “razzista” mille  e mille volte al giorno. Perché non gliela passo, no, la bugia che sono brave persone e hanno bisogno d’amore e fratellanza. Perché si sono già stancati di recitare la parte dei “bravi ragazzi” e delle “buone mamme di famiglia”: si sono stancati, sì!, e hanno già cominciato alla grande a sputtanarsi da soli. Sparano, violentano, preferiscono morire pur di portare all’inferno con loro decine di vittime. Peccato che, noi, in quell’inferno non ci andiamo. A noi, Cristo ha assicurato un posto in paradiso. Ovunque sia. Comunque sia.

E, in ogni caso, io di questa virtù mi voglio sporcare le mani. Di questo razzismo mi vesto. Mi ci sento proprio. Ci sto comodo.

Sono quel razzista che tiene al Presepe, alla Croce, al panettone, alle zeppole, all’amatriciana col guanciale di maiale, alla tutela dei diritti dei fanciulli, delle donne, del malato, del cittadino, degli animali, dei credenti, della Legge…

Sono e resto razzista, figlio e padre di razzisti quanto me, che non vogliono arrendersi alla conquista.

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A casa mia, Allah non è u akbar. A casa mia, è più Grande la Libertà!

Fra me e me. Razzista quanto basta per credere nella fratellanza.

 

 

 

 

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