Tendopoli Rosarno e San Ferdinando: africani razzisti!
Venerdì 10 giugno 2016 – San Landerico di Parigi – Redazione SUD, Area Industriale Porto di Gioia Tauro
E basta, con questa manfrina dei poveri africani e degli italiani razzisti! Sono decenni che qui, nella Piana di Gioia Tauro, gli africani arrivano a frotte e la mia Gente li accoglie, scema, senza se e senza ma.
I primi ad arrivare furono, negli anni ’80, marocchini e tunisini: i “vucumprà”. Si stabilirono senza tante storie nei nostri paesi; si sposarono con ragazze italiane, perfino. Misero su casa e famiglia. Poi, come previsto da molti, abbandonarono mogli occidentali e figli meticci e scomparirono nelle nebbie. Probabilmente, con le tasche e il culo pieni di soldi italiani, tornarono dalle loro famiglie d’origine e aprirono bottega lì da dove partirono. Una delusione? No: una liberazione. Non ne potevamo più di carretti sgangherati che gironzolavano per le strade stracolmi di mercanzia scadente e, spesso, pericolosa. Giocattolini senza alcun controllo di sicurezza, tappeti colorati coi veleni peggiori, biancheria di dubbia produzione, attrezzi per il lavoro di fabbricazione cinese, affidabili come una mina antiuomo. Sparirono senza che uno di noi avesse mai usato il benché minimo segno di intolleranza o maleducazione: li chiamavamo “Cuggìnu”!
Poi, è arrivato il turno dei dubbi mercanti cinesi: i loro negozi hanno soffocato l’economia locale. Tutto a prezzi bassissimi, sia per la pessima qualità delle porcherie che vendono, sia perché le agevolazioni fiscali di cui godono glielo consentono, sia perché non rilasciano uno scontrino manco se gli punti una katana alla carotide. Vivono, spavaldi, sulle loro macchinone fuoriserie, recitano il ruolo di mafioso giallolimone, non spendono sul territorio un centesimo di quello che scippano alla povera gente, spediscono tutto in Cina che si ingrassa con la nostra stupidità. Non ricevono mai controlli dallo Stato italiano, e, se accade, tutto torna come prima in una frazione di secondo. Tutti sogniamo che spariscano, ma nessuno ha mai pensato di farglielo fare con violenza. Altro che razzismo!
Ed infine, loro: i neri neri neri dell’Africa nera nera nera equatoriale. Quelli che mia nonna, morta prima, non ha mai avuto il tempo di vedere da vicino. Quelli che, nelle amorevoli minacce delle mamme, hanno spaventato i bambini di tutta la penisola. Sono arrivati, di colpo, nella Piana e sapevano già dove andare a dormire e, soprattutto, a lavorare. A prima botta, ci hanno fatto paura e pena. Sembravano pacifici e desiderosi solo di lavorare. Non cercavano l’incontro. Stavano “periferici”. Non volevano raccontarsi, né sapere di noi. Poi, la fame e il freddo li hanno convinti. Siamo stati noi, chi più chi meno, a cercarli per “accoglierli e integrarli”. Per quanto lo volessero. Niente carni rosse, per paura che facessimo mangiare loro bistecche di maiale o animali uccisi con metodo non halal: solo pollo e riso. Evvabbeh! Niente che avesse a che fare con Gesù Cristo, per non offendere la loro fede muslim. Evvabbeh! E così via, fino allo sfinimento, con attenzioni misurate, ripeto, per non offenderli. Poi, tanto per testimoniare in prima persona, qualcuno ha pensato di mettere su qualche microprogetto più mirato: con quel famoso Progetto Etico mafiaNO (chiuso per interferenza politicomagnona), decidemmo di aiutare una piccola comunità di un centinaio di africani “residenti” sul territorio di Taurianova. Dopo aver badato a loro nelle necessità quotidiane, con cibo, vettovaglie, mobili, abiti, derattizzazioni, risistemazione di locali, avevamo pensato di “fabbricare” la possibilità di liberarli dalla schiavitù mafiosa regalandogli una batteria di polli e conigli d’allevamento, le gabbie, il nutrimento, e MILLE, dico MILLE, piantine di ortaggi da piantare. Oltre che le zappe e gli altri attrezzi per l’orto. I polli e i conigli se li sono mangiati. Le piantine sono morte nei vasetti di plastica, mai piantate nella terra. Vaffanculo! Hanno preferito impegnare il tempo libero a giocare alle macchinette e a scommettere nei centri scommesse. Girano tutti per il paese con smartphone e cuffiette, anche se continuano a vivere nella merda. Quando ci siamo spesi con le istituzioni locali affinché i mezzi del Comune andassero a caricare i cumuli di spazzatura presenti a fianco alle loro baracche, si sono pure incazzati. Vaffanculo.
Nelle tendopoli, la situazione non è diversa da quella presente nelle bidonville delle città africane: le ho visitate e le conosco. Le une e le altre. Ma qui si lamentano e pretendono non si sa cosa. Da lì scappano. Molti perché nel loro Paese sarebbero carne da galera. Qui fanno gli spacconi e ci urlano Italiani Razzisti! Carabinieri Assassini! Polizia Assassina! E noi a batterci il petto per cercare il nostro errore. Che è uno solo: NON AVER CHIUSO LE FRONTIERE!
A San Ferdinando, l’altro ieri, si è consumata la tragedia: un giovane Carabiniere è stato costretto a difendersi dall’assalto di un africano armato di coltello. Le sue coltellate hanno colpito il nostro militare al braccio e a un millimetro dall’occhio e dalla tempia: poteva morire lui. Si è difeso. La tendopoli si è rivoltata contro le nostre Forze dell’Ordine e non contro il facinoroso nero nero nero.
Da lì, la protesta. Con l’odio negli occhi, ieri mattina, gli africani sono usciti dalla tendopoli e hanno sciamato per le vie di San Ferdinando, minacciando e urlando offese contro tutti. Razzisti veri loro, mentre i cittadini sanferdinandesi li pativano, osservandoli senza profferire parola. Annichiliti da tanta violenza interiore. Una vergogna africana, altro che italiana.
Ieri ci hanno fatto vedere quanto ci detestino e quanto male ci vorrebbero fare. E i razzisti saremo noi? Ma per piacere!!!!!!
Io un’ultima proposta ce l’avrei: NIENTE SOLDI ALLE ONLUS E ALLE ASSOCIAZIONI che li coccolano per interesse. Se vogliono aiutarli, vadano in quei Paesi dove sembra sia necessaria la solidarietà. SENZA SOLDI PUBBLICI! Ma non ce li portino in casa. Ché, nelle nostre case, i problemi non mancano e non possiamo caricarcene sul groppone altri.
Altro che razzisti, siamo morti di fame!
Fra me e me.