Se Bersani va in bianco…
Mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano raccoglie l’appello del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi (“mettere da parte i particolarismi e tutti gli schieramenti e i dibattiti, il nostro Paese ha bisogno di intervenire rapidissimamente sui nodi dell’economia reale”), e chiede che la questione sia posta al centro delle istituzioni e del governo, partendo dalla concretissima necessità di sbloccare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, continuiamo ad assistere agli strani giri di valzer fra Bersani e Grillo che per ora paiono aver trovato un unico terreno comune: far fuori Silvio Berlusconi.
E agitano le manette, il sì a una richiesta d’arresto come la muleta davanti al toro, perché l’assalto giudiziario al Cav per qualcuno come il braccio destro di Bersani, Migliavacca, è la “soluzione finale”. Esattamente come per Beppe Grillo e i suoi neo-sanculotti, visto che l’ex comico evoca la rivoluzione francese ma “dolce”, senza ghigliottine. Far fuori dal Parlamento l’unico il capo del Pdl, il vero avversario di sempre è la linea, puntando pure sulla carta dell’ineleggibilità.
E poi? Spartirsi le spoglie (o il bottino, che però rischia di essere fatto di macerie) aprendo un duello rusticano fra “loro” e gli “altri”: Pd e M5S. Già, perché anche i democratici, nella visione grillina, sono un nemico da abbattere, l’ultimo bastione della casta prima di ottenere il 100% dei voti. Bersaglio ideale per chi poi dovrebbe spiegare come faranno a stare assieme i teorizzatori della crescita economica e quelli della decrescita. Con una considerazione: vent’anni di antiberlusconismo militante permeato di giustizialismo e antipolitica hanno portato alla fine i voti a Grillo e non al Pd… Per ora gli otto punti di Bersani sono sovrastati dall’unico non scritto nel programma di governo dell’uomo di Bettola, quello manettaro che cozza con il diritto alla praticabilità democratica del Pdl e del suo leader, staccato alle elezioni solo di un pugno di voti dal Pd, richiamato da Napolitano.
E’ questa la pietra miliare su cui si basa la strategia di Bersani che vuole l’appoggio di Grillo per farsi premier mentre il termometro dell’economia reale è sempre fermo su “allarme rosso” e presto si dispiegheranno gli effetti perversi della tassazione 2013 e del nuovo aumento Iva, col debito pubblico che continua a salire? Se fosse così si aprirebbe un altro problema, quello dell’agibilità democratica di chi governa perché non avrà mai i consensi degli elettori del Pdl che non sono stati attratti nemmeno dalle sirene del centrino di Mario Monti.
La sensazione è che Bersani, più che lungo una via strettissima, stia marciando lungo una via senza uscita e bisogna vedere se tutto il Pd seguirà il pifferaio del Nazareno andando a sbattere… La musica dell’accordo con l’M5S, lo “scouting” per arruolare almeno 16 senatori “stellati” e trovare una maggioranza costi quel che costi anche a Palazzo Madama rischia di far saltare il banco proprio in casa del Pd. Le avvisaglie ci sono tutte.
Il primo effetto? Matteo Renzi, che ha detto di essere pronto a fare il premier se si andrà a elezioni anticipate, ha riunito deputati e senatori amici dicendo chiaro e tondo di non essere disponibile a “cogestire” la linea Bersani “destinata all’insuccesso”, perché subalterna rispetto a Grillo: non va inseguito ma sfidato (“dobbiamo essere noi a dirgli quello che vogliamo fare…”). Bocciata anche la linea manettara anti Cav, anche questa perdente rispetto all’elettorato di centrodestra. Il secondo effetto? Anche Mario Monti ha frenato perché è interessato solo a un’intesa con Pd e Pdl in nome della governabilità e dell’ancoraggio all’euro tanto che vorrebbe fare il presidente del Senato, ma Napolitano l’ha stoppato.
Vedremo se Bersani andrà in bianco alla prova dei passaggi istituzionali (elezione dei presidenti di Camera e Senato, dove il leader Pd ha incassato il non dall’M5S, consultazioni per l’incarico di governo, elezione del Capo dello Stato). Al Paese non servono giri di valzer o inciuci che portino a un governo di minoranza che può solo galleggiare senza affrontare le emergenze dell’Italia ma un governo vero, con i numeri. Un governo politico. Se sì, bene. Se no, elezioni al più presto. Tertium non datur.