Pd, eutanasia annunciata
I fantasmi si sono materializzati eccome, nel Partito Democratico che alla prova della scelta dell’inquilino del Colle si è spaccato ed è stato travolto dai giochi delle correnti, dagli scontri fra cacicchi vecchi e nuovi, vendette da consumare a freddo, antichi rancori tenuti sotto traccia ma poi riemersi come un fiume sotterraneo di lava. Che ha bruciato il partito, in un incredibile cupio dissolvi di tutti contro tutti. Un’amalgama davvero mal riuscito, come si è visto, per usare una definizione dalemiana.
Bruciato il leader Pierluigi Bersani e la sua segreteria, Rosi Bindi che ha lasciato la presidenza del Partito Disunito, Franco Marini e Romano Prodi (che aveva lavorato a lungo per il laticlavio presidenziale), bruciacchiato anche il rottamatore Matteo Renzi che ha fatto qualche mossa sbagliata, non proprio in linea con il “nuovismo” su cui vuol costruire la sua leadership e i “giovani turchi” alle prese con un gioco più grande di loro ma sicuramente contro Enrico Letta e Franceschini. La mossa di Berlusconi per convincere Giorgio Napolitano a restare al Quirinale, atimone della nave che rischia di affondare nella burrasca ha messo fine a giochi e giochetti di basso livello. Non mi dilungo sugli errori dell’uomo di Bettole e sull’illusione del “governo di cambiamento” con i grillini, ne ho già scritto in abbondanza e in sua difesa dico solamente che guidare un partito come il Pd tenendolo unito è una missione impossibile e richiede una leadership forte e più coraggiosa che non anteponga gli interessi e l’unità del partito a quelli del Paese.
La pesantissima aria che tira a largo del Nazareno si capisce dalle gelide parole di Prodi: “Non ho niente da dichiarare”. Ma soprattutto da quelle di Marini: “Io sono stato vittima del mio partito allo sbando” partito che ha “costruito la mia candidatura, non Berlusconi”. Nella trasmissione della Annunziata, Marini ha attaccato partito e gruppo dirigente facendo notare, a proposito del “rottamati” piddini eccellenti, che D’Alema e Veltroni “sono dentro e sono anche attivi e hanno preso parte al lavoro di questi giorni”. “Il Pd deve recuperare credibilità, l’ha persa tutta e non so come ci si possa sedere accanto a interlocutori e leggergli negli occhi… si sono rafforzati più i potentati che una idea larga di partito”. Non è mancato un un duro attacco a Matteo Renzi, che farà felice chi vuol rottamare il rottamatore fiorentino: “E’ uno che ha un livello di ambizione sfrenata, a volte parla e non si sa quello che dice, cerca solo i titoli sui giornali. Se non modera questa ambizione finisce fuori strada”.
Ma quello che mi ha colpito di più è stata la facilità con cui Beppe Grillo ha lanciato l’opa sul Pd per fare contro-scouting e dividerlo usando una mosca cocchiera come Rodotà, già innalzato come uno stendardo dalla sinistra radicale e giustizialista ancorata all’anti-berlusconismo militante. E’ davvero bastato poco, la debolezza e della testardaggine di Bersani nel cercare un accordo a tutti i costi con l’M5S gli hanno spianato la strada.
Fin qui è andata bene al comico miliardario che poi è rimasto scornato dall’elezione di Napolitano. Già, perché la sceneggiata di chi protestava contro la democrazia scippata in piazza Montecitorio, i parlamentari grillini ad arringarli (frase temeraria di uno di loro trasmessa in tv: noi rappresentiamo tutti gli italiani…), l’evocazione da parte di Grillo di un fantomatico golpe con tanto di marcia su Roma sorretta da “milioni” di manifestanti che poi si è trasformata in una retromarcia con annessa conferenza stampa-comizio, hanno messo a nudo il primo vero passo falso compiuto dal Grillo-Rodomonte che ora riduce a “golpettino istituzionale furbo” l’elezione di Napolitano, un “golpettino” perché quella dell’M5S è una “iperdemocrazia” che però stavolta in piazza Santi Apostoli portato poca gente.
Il post Bersani e l’eutanasia annunciata del Pd prefiguara altri scenari, a sinistra. Soprattutto perché il presidio davanti a Montecitorio durante le votazioni per il Quirinale non era solo di “cittadini” e militanti M5S: c’erano quelli con le bandiere di Rifondazione Comunista assieme Ferrero, quelli di Sel e quelli del popolo viola, elettori di Ingroia e quant’altro di sinistra-sinistra è uscito sconfitto dalle urne, incluso l’uomo Fiom, Landini. Insomma quelli che per giorni hanno fatto pressione sul Pd e sulla sua ala “sinistra” nel nome di Rodotà. E si è anche assistito alla disinvolta giravolta del narratore politico per eccellenza, quel Nichi Vendola che solo qualche giorno fa voleva “contaminarsi” con il Pd e invece si è schierato sul fronte del popolo di Rodotà e soprattutto su quello grillino. Altra dura lezione per Bersani che lo aveva imposto fra molti maldipancia dei democratici soprattutto di area ex popolari, come alleato di ferro.
“Massimalisti di tutta Italia unitevi a noi” è la parola d’ordine della rappresentanza offerta dalla sinistra radicale che attraversa anche pezzi del Pd (inclusa la new entry democrat, Fabrizio Barca) e arriva fino a Beppe Grillo e ai suoi che in gran parte sono “costole della sinistra”, da dove provengono. Il governo di larghe intese o di scopo Pdl, Pd e Lista Civica non sa’ da fare, il Grande Nemico è sempre Berlusconi e tutti quelli che si alleano o dialogano con lui: da Bersani a Napolitano. Anche se è nell’interesse del Paese, delle imprese, dei lavoratori, delle famiglie.
Vedremo cosa verrà fuori dalla riproposizione dell’eterno scontro tra riformisti e massimalisti che ha segnato la storia della sinistra italiana e che stavolta vede in campo “l’uomo nuovo” Grillo e la mitizzata web-partecipazione che pare più che diretta, eterodiretta. E ora cosa accadrà nel Pd? Sarà uno scontro ai lunghi coltelli, questo è certo. Forse è un bene che il Pd sia andato a sbattere seminando macerie perché è finita l’illusione del partito “inclusivo” per definizione e atto di fede che tiene dentro idee, ideali, visioni e culture politiche diverse e spesso contrapposte. Dai regolamenti di conti interni che si consumeranno da qui al congresso, verrà fuori, si spera, una maggior chiarezza non solo di linea politica ma di proposta al Paese, nell’interesse della governabilità e della stabilità. E l’ultima spiaggia. Si spaccherà il Pd? Nascerà un nuovo partito gauchista che si salderà al movimento di Grillo che ha voti e parlamentari in quantità? Probabile. Nel caso avremo uno scenario più chiaro e meno ambiguo. Mentre il portavoce dei “cittadini” aspetta, come ha detto, che fra 8 – 12 mesi si torni a votare.
Nel libro Aspettando la rivoluzione, Antonio Ghirelli ha scritto: “In un’intervista concessa al “Corriere della Sera” nell’autunno del 2006, Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell’Economia del secondo governo Prodi, ebbe a osservare: ‘In Italia abbiamo una tradizione quasi secolare che ha sempre visto la sinistra radicale esimersi da responsabilità di governo. Questo fenomeno è stato anche all’origine della nascita della dittatura fra le due guerre’. Il ministro intendeva probabilmente sottolineare, al momento in cui concedeva l’intervista, sia l’aspetto positivo dell’inclusione nella compagine di governo di esponenti dei partiti di estrema, sia il pericolo (come al primo gabinetto presieduto da Prodi) taluno di questi partiti potesse imporre misure rischiose o negare la fiducia su importanti proposte di legge. La realtà, per quanto riguarda la seconda ipotesi, è andata oltre ogni previsione“.
Una lezione del passato recente di cui il Pd non ha tenuto conto. Riuscirà a farlo stavolta? Spunterà un federatore in grado di fermare la guerra fra cacicchi e correnti, impresa nella quale il “collettivo” evocato da Bersani ha fallito? Napolitano, la strada per uscire dal vicolo cieco l’ha indicata, per la seconda volta… Si riparte dal nuovo governo del presidente o di scopo che sia, vedremo cosa succederà nel Pd, di tempo ne è stato perso troppo.
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